La costruzione dell’Europa non sarà mai un dono che piove dal cielo. Sarà soprattutto il frutto di una volontà tenace e di un metodo consapevole. Criticare l’Unione Europea è non soltanto legittimo, ma anche salutare. Le critiche, però, non debbono essere aprioristiche e pretestuose. Vanno mosse con misura e con giudizio, con un senso di realismo, prendendo coscienza che si è di fronte ad un bivio: o avanzare verso un’Europa politica unita, o regredire al livello di un coacervo di Stati nazionali, che vorrebbero essere forti come se l’Europa fosse unita, senza però cedere una minima parte della propria sovranità.
È abbastanza evidente che oggi il legame tra gli Stati europei si è indebolito e raffreddato, anche a causa del forte rallentamento della marcia verso quella democrazia politica, che Alexis de Tocqueville, nella sua opera La democrazia in America, divenuta un classico, chiama «l’uguaglianza delle condizioni». In definitiva, l’Unione europea è entrata in crisi, soprattutto perché è rimasta allo stadio di progetto incompiuto, essendo tuttora carente della sua parte più importante, e cioè della democrazia politica. Questa, fra l’altro, sul piano pratico e nell’immaginario collettivo, appare caratterizzata dalle derive di nazionalismi, populismi, leaderismi, neoliberismi individualistici e radicali, i quali al bene comune antepongono nuove ideologie, gruppi o interessi economici, l’idolatria della tecnica, del denaro e del potere.
Una democrazia politica europea, come anche ogni democrazia nazionale, presuppone l’unione morale di un popolo o, meglio, di un «noi»-di-popoli, senza cui resterebbe priva di anima propulsiva. Urge un popolo convintamente europeo, fondamentalmente unito.
Da un punto di vista valoriale, prima ancora di essere Unione dei mercati, l’Europa dovrebbe essere unione di popoli, ossia un noi-unione morale di persone-cittadini, protesi verso la realizzazione del bene comune. Detto diversamente, il fondamento dell’Europa politica non può che scaturire da una strutturazione o riorganizzazione della vita sociale di tipo personalista e relazionale, comunitaria, aperta alla trascendenza.
Il noi-di-popoli europeo, che oggi non bisogna tardare a formare e che, originariamente, è un «noi» di cittadini chiamati al bene comune, si caratterizza connaturalmente per il primato della politica rispetto al mercato e alla finanza, pur fondamentali rispetto alla concretizzazione dello stesso bene comune.
Se vi deve essere l’Europa dei mercati, non può assolutamente mancare l’Europa dei popoli, quale insieme di istituzioni sociali e politiche adeguate, ma soprattutto, quale unità spirituale e morale, che postula il primato delle persone, considerate nella loro intrinseca dignità e trascendenza.
È su questo piano che i mass media cattolici e di ispirazione cristiana hanno una missione intellettuale e pedagogica da compiere. E a questo sono resi atti qualora si lascino guidare da un Amore pieno di verità, il criterio fondamentale offerto dall’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, promulgata dieci anni fa nel prossimo mese di giugno. Solo un tale amore fa sì che la costruzione di una nuova Europa sia centrata sulla promozione della dignità dei popoli, delle persone, della loro fraternità, dei loro diritti e doveri, e della loro costitutiva trascendenza. Un Amore pieno di verità comanda il superamento di quell’individualismo libertario e neoutilitarista che oggi pare dominare l’ethos politico, e che porta inesorabilmente verso soluzioni conflittuali, anarchiche o dittatoriali, verso umanesimi senza Dio, disumani, non laici ma laicisti.
+ Mario Toso,
Vescovo di Faenza-Modigliana