La pioggia di misericordia di quel pomeriggio ha inumidito i nostri occhi

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di Giovanna Parrino

Il contributo odierno all’intervento del Papa in Piazza san Pietro è di Giovanna Parrino, già presidente dell’Azione Cattolica di Monreale.

Cosa ha provato quella sera dinnanzi al televisore?

Sentirmi parte di una Chiesa viva, interpellata direttamente da un Vangelo che conosce ogni neo della fragile persona che sono, percepirmi connessa con il mondo e dentro una storia grande ed allo stesso tempo così intimamente vicina alla singolarità di ognuno: sono solo alcune delle sensazioni provate quella sera. Ho popolato insieme a tanti amici numerose volte quella piazza; ho negli anni respirato in quello spazio l’universalità della fede; ho pure pianto di gioia ed emozione al termine di esperienze significative vissute dentro l’abbraccio del colonnato di San Pietro. Mai però prima di allora avevo provato la sensazione di rinascere.

Perché quella sera è stato diverso?

Il dono straordinario dell’indulgenza plenaria in questo tempo strano in cui il dolore e la paura della fine dell’esperienza terrena, hanno fatto capolino nel cuore e nella testa di tanti di noi, credenti e non, è stato uno scossone interiore che mi ha dato occhi nuovi. Nella sala da pranzo di casa eravamo in tre, chini sulle nostre vite e all’altezza del cuore. La pioggia di misericordia di quel pomeriggio ha inumidito i nostri occhi regalandoci la potenza della vita che ci attende. È per questo che non ho visto il papa solo, piuttosto nei suoi passi in salita c’eravamo tutti. Mai come quel 27 marzo piazza San Pietro si è riempita. Nell’eloquente silenzio di quella piazza c’era tutta la nostra preghiera. Ho visto nel Papa il cammino della preghiera dell’intera umanità.

Quale valore comunicativo ha avuto il gesto?

“Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore.” Ecco il potere comunicativo di un evento straordinario in cui abbiamo sperimentato la potenza della Fede in Cristo morto e Risorto. Abbiamo così contemplato il Dio Benedicente che si china a fasciare le ferite e a ridare la vita. Quel pomeriggio ha rimesso al centro di milioni e milioni di persone il dono della Fede, come la più preziosa delle perle da custodire; come la voce che senza interferenze ascolta e risponde. Quel pomeriggio ha regalato a tutti una commozione che difficilmente dimenticheremo. Ci si è sentiti parte di un tutto, non soli.

Il Papa ha ripetuto che nessuno si salva da solo? Perché?

Le parole del pontefice hanno portato nelle nostre case il mondo. Guidati dal Maestro, a poppa della barca, ci siamo spinti oltre la dimensione intima e individuale della paura. Questa barca si è popolata di strade e quartieri, delle nazioni e dei continenti, delle trincee in cui in prima linea si sta affrontando il virus, degli uomini e delle donne che incessantemente sono a lavoro, anche di chi non ce l’ha fatta, dei volti straziati dal dolore di chi non ha potuto salutare i propri cari. In questa stessa barca ci siamo ritrovati. Agitati, impauriti, arrabbiati, preoccupati, confusi, incerti, increduli, affamati di vita. In mezzo a tutto quel vociare abbiamo potuto vedere, l’agire di Cristo, la sua forza dirompente capace di gridare al vento. Quella voce decisa a non lasciare in balia del frastuono i suoi. Quella richiesta di fiducia da parte di un Dio che ha a cuore la salvezza di tutti. Quell’incoraggiamento che intreccia le vite e invita a riprendere in mano i remi dei propri sogni, a guardare alle richieste di chi ci attende, alla capacità di remare sincronizzati per approdare insieme. Ecco perché nessuno si salva da solo.

Il Papa ha poi parlato di speranza? Come si può avere speranza in questo contesto?

Il dono della speranza, non è mero ottimismo, ma un dono del cielo. Abbiamo bisogno di scegliere che Dio ci liberi da ogni forma di indifferenza, di egoismo e di autosufficienza. Il 27 marzo scorso abbiamo sperimentato gli effetti di questa scelta. Non lasciamo che diventi una data da ricordare, piuttosto lasciamo agire la grazia ricevuta quella sera, con il coraggio di scelte capaci di non lasciare nessuno indietro. Ognuno nel proprio contesto non si stanchi di “remare con”, lasciando alla forza del sorriso la parola. Non riesco ad immaginare un mondo senza questo cristianesimo di scelte piccole e importanti. Un mondo in cui le case sono diventate chiese, sapendo che la “chiesa” è la nostra casa comune dove presto ci auguriamo di tornare a celebrare insieme l’Eucaristia.

Un altro tema scelto dal Papa è stato quello del “tempo della scelta”.

Intanto la pandemia ci ha ricordato che l’uomo non è autosufficiente. Riconoscere la nostra vulnerabilità e il bisogno di redenzione ha evidenziato come nel cuore di ogni uomo ci sia questa scintilla di “redenzione”, ossia l’azione della liberazione da parte di Dio. In questi giorni in cui tutti ci siamo sentiti accomunati dal medesimo destino della “sofferenza”, siamo andati a ripescare questo bisogno di liberazione invocando l’intervento di Dio.

Da qui la riscoperta della preghiera e della solidarietà?

Sì. Abbiamo riscoperto la preghiera riscoprendola quale fonte di consolazione. Parallelamente questo rifugiarci nell’ascolto e nella meditazione, ha lentamente risvegliato il desiderio estroverso di bene. Dal silenzio di stanze più o meno grandi delle nostre case, ci siamo ritrovati a ripassare nel cuore volti e situazioni e così ad agire. Ognuno di noi può testimoniare questo fiorire di germogli nell’attuale situazione di deserto o sabato Santo. Un tran-tran di bene e solidarietà genuino e gratuito. La finestra della TV ha accorciato le distanze e abbattuto ogni confine. Ognuno di noi annoti, a futura memoria, i momenti in cui dal divano si è passati al telefono per sentire qualcuno; al carrello solidale; alle piccole donazioni; alla creatività delle forme artistiche; alle messe dai tetti o in diretta; alle processioni con il crocifisso in strade abitate dall’uscio delle case; al sorriso per aver contribuito ad un progetto più grande; agli ospedali o nei quartieri più fragili anche soltanto “pregando per”; alle scelte civiche di amministratori e politici; allo studio con rinnovata passione; all’indignarsi apprendendo notizie di ingiustizia sociale. Ognuno di noi oggi può testimoniare il valore di scelte significative per il bene di tutti.

Il tema centrale del suo messaggio può essere rinchiuso in questa frase: la forza di Dio è “volgere al bene tutto quello che ci capita anche le cose brutte”, Come si fa a spiegare alla gente questo concetto in un momento in cui sembra che Dio abbia abbandonato gli uomini?

Nello spirito di abnegazione di tanti nostri fratelli e sorelle che senza sosta dall’inizio della pandemia si sono messi a servizio dell’uomo sofferente, nel moltiplicarsi delle forze in campo nella nostra nazione con la risposta generosa di tanti medici ed infermieri, italiani e non, all’appello della protezione civile, non assistiamo forse ad una inedita liturgia in cui competenze e fede sono intrecciate? Voglio ricordare in particolare una cosa

Prego

Alla domanda di un giornalista ad un giovane medico del sud Italia “Cosa l’ha spinta a dare la sua disponibilità e a partire?”, la risposta secca del ragazzo è stata: “Ho sentito questa Chiamata. Le parole del Papa poi mi hanno fatto alzare e adesso sono qui pronto a dare il mio contributo”.  Quanta chiesa in uscita stiamo vedendo… attraverso ogni singolo “Eccomi” l’azione di Dio si rende visibile così come questo suo “volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte”.  Il lutto, il dolore, la paura, non hanno l’ultima parola. Certi pianti appaiono inconsolabili, ma una forza straordinaria nasce ogniqualvolta lasciamo agire Dio.

Il Papa ha anche detto che è necessario “Trovare il coraggio di aprire spazi”. Cosa significa per ognuno di noi?

«Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contraddittorietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare». Le forme nuove di giustizia sociale dipendono ancora una volta dalla singolare e libera scelta di abbracciare la croce, ossia di vivere con testa e cuore questo tempo della sofferenza con tutte quante le sue storture. Significa partire da questa realtà di dolore. Le nostre case possono davvero essere le fucine di un mondo nuovo.

Per ultimo ha poi parlato della “appartenenza come fratelli”. Su quali basi si può oggi in questo clima di paura pensare di costruire una comune appartenenza al genere umano?

Nell’espressione “appartenenza come fratelli” ci siamo tutti, senza distinzione di fede e culture, nazionalità e abitudini. C’è l’umanità tutta e c’è pure la visione d’insieme, “Di terra e di cielo” e la comune dignità di essere figli di Dio, ed in quanto figli, tutti fratelli. La dimensione della fraternità nella casa comune che è il pianeta, ci porta a cogliere e a ricercare tutto un nuovo equilibrio grazie al quale nessuno deve rimanere indietro. È credere ed impegnarsi perché scelte di vita volte al bene comune, possano contribuire ad invertire l’attuale tendenza in cui nel mondo vi sono innumerevoli forme di ingiustizia sociale.

La testimonianza del Papa a cosa l’ha richiamato in particolare?

In questi giorni mi è capitato diverse volte di ritornare con il cuore, all’esperienza missionaria vissuta questa estate in Tanzania, insieme ad altri volontari e con l’Ufficio diocesano missionario. Nelle comunità che si sono convertite da poco si può vedere e toccare con mano la rivoluzione del Magnificat. Nella missione di Kitanewa ho infatti visto cosa un Vangelo incarnato riesce a fare, nonostante la miseria e la povertà. La forza della reciprocità e del sentirsi fratelli fa di quella comunità una grande famiglia. È un tempo delicato quello della ripartenza. Questo nostro mondo oggi messo alla prova dal Coronavirus, possa ripartire dalla reciprocità e dalla centralità della persona.

 

 

 

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