L’intervista di oggi è di don Gaetano Giuffrida, parroco in Santa Maria Maggiore a Nicosia (EN)
di Francesco Inguanti
Don Gaetano, come sta vivendo in parrocchia questo periodo così particolarmente silenzioso?
Ho 53 anni e sono prete da 27 anni. La mia parrocchia si trova in un quartiere della città ormai spopolato e abitato in prevalenza da adulti e anziani. Quindi un quartiere silenzioso a prescindere da tutto il resto. Pur abituato al silenzio, in questo periodo sto riscoprendo il valore del silenzio come ascolto e meditazione. Celebrare da solo in una chiesa enorme mi mette tristezza, ma mi permette anche una maggiore concentrazione e attenzione alla Parola e al Mistero.
Come ha usato i mezzi di comunicazione per continuare i rapporti con i parrocchiani?
Ho continuato a mantenere i contatti con i parrocchiani attraverso i vari gruppi WhatsApp, inviando settimanalmente il foglio parrocchiale e spesso riflessioni e sollecitazioni per vivere serenamente questo tempo, chiedendo a tutti quelli che raggiungo di condividere tutto anche con i loro contatti, per raggiungere più fratelli possibile. Di tanto in tanto chiamo per telefono le persone malate e sole. La Messa quotidiana è trasmessa per radio (una sorta di radio di quartiere): questo mi permette di sentirmi meno solo e di continuare ad attualizzare la Parola attraverso l’omelia, raggiungendo tanti nelle loro case e ricevendo da loro un incoraggiante riscontro.
Come ha affrontato le problematiche connesse alla carità?
Riguardo alla carità, in questa prima fase non ci sono state particolari richieste se non quelle ordinarie, poiché c’è stato un grande coinvolgimento di associazioni in collaborazione con il Comune e la Caritas a livello cittadino con distribuzione di pacchi alimentari. Ma ho chiesto ai miei parrocchiani nei gruppi WhatsApp, di essere antenne nel territorio perché nessuno sia lasciato solo nella sua povertà: sono certo che il peggio ancora dovrà venire.
L’esperienza del catechismo è continuata seppur a distanza? E come?
Riguardo al catechismo non stiamo facendo molto, se non proporre quanto suggerito dalla diocesi e dall’Ufficio Catechistico Nazionale. I catechisti comunque sono settimanalmente in collegamento con i ragazzi e le loro famiglie. Certamente dovremo riprendere tante cose, ma non abbiamo voluto imporci sui ragazzi alla maniera scolastica.
Come hanno vissuto queste settimane i suoi parrocchiani? L’appartenenza alla comunità cristiana della parrocchia come li ha aiutati?
Quelli con cui sono in contatto più diretto mostrano di avere chiaro che fede, preghiera, ascolto della Parola sono una forza in più in questo difficile tempo, anche se non mancano stanchezza e scoraggiamento. Riguardo agli altri, sinceramente, non saprei dire. Passata l’emergenza la mia prima preoccupazione sarà capire come questo tempo ha segnato la fede, i sentimenti, l’umanità dei parrocchiani per ripartire comunque anche da eventuali “macerie di fede”.
Vi sono esperienze accadute in questo periodo particolarmente significative che ha avuto modo di conoscere?
Tra le tante esperienze di solidarietà, quella più significativa è il coinvolgimento a largo raggio di tutta la città (Comune, Curia diocesana, Parrocchie, Associazioni, singoli cittadini) per attrezzare il locale Ospedale di 4 posti di terapia intensiva (di cui era sprovvisto, in un territorio impervio dimenticato spesso dalle istituzioni). La generosità (e forse anche un po’ di paura???) di tutti ha permesso la realizzazione di ciò, ed è un grande segno di speranza che quando ci si mette insieme si possono fare anche cose prima ritenute impossibili.