di Francesco Inguanti
Marta Giordano è una infermiera palermitana che lavora in Inghilterra. Si è laureata in scienze infermieristiche nella nostra università nel 2015 e subito dopo la laurea ha deciso di accettare una proposta di lavoro dagli ospedali inglesi.
Ha vissuto da subito il dramma del coronavisurs quando in Italia eravamo in piena emergenza e a Londra si pensava di poter evitare la pandemia. E quindi il suo pensiero e le sue preoccupazioni erano per i parenti e gli amici lasciati a Palermo. Poi anche lì la situazione è diventata drammatica ed anche lei è si è trovata in prima linea come tanti altri colleghi.
Anche lei ha visto morire alcuni pazienti, anche lei ha subito turni massacranti e stress finché un giorno, anzi una notte, ha accompagnato alla morte un paziente anziano. “Un’esperienza dura – spiega – a cui purtroppo siamo abituati. Cerchiamo di essere il più umani possibili, ma veder morire una persona che hai cercato di curare per giorni è drammatico”. E poi prosegue: “Spetta a noi quasi sempre tenere i rapporti con i parenti delle vittime. Comunicare, seppur per telefono, che il congiunto è morto, è una esperienza durissima. I parenti sono sempre molto grati e ci ringraziano come possono con biglietti di apprezzamento per il nostro lavoro”.
Ma dopo quella notte è accaduto qualcosa di impensabile. Le è stata recapitata una lettera della figlia del defunto, indirizzata a lei.
La riportiamo per intero:” Cara Marta, Ti scrivo per ringraziarti di esserti presa cura di mio padre durante le sue ultime ore di vita. Mi sento molto meglio a pensare che qualcuno era lì con lui a tenergli la mano. Non posso neanche immaginare che cosa tu stia vivendo durante questo periodo difficile ma tutto quello che stai facendo è molto apprezzato. Spero che tu sia al sicuro con quei pochi dispositivi di protezione che avete. Papà era molto più che una vittima di covid-19. Era un padre orgoglioso di 3 figli ed era appena diventato nonno. Era allegro e intelligente e gli piaceva molto camminare e guardare gli uccelli. So che tu gli hai portato molto conforto mentre eri con lui. Grazie mille”.
La complessità della situazione che si vive anche in Inghilterra ha impedito finora a Marta di poter incontrare o sentire personalmente la firmataria della lettera. Ha deciso allora di condividere la sua esperienza e affidare i suoi pensieri ad alcuni strumenti di comunicazione, e chissà, magari le sue parole possono anche giungere alla figlia del defunto. Ecco quello che ha scritto
“Sono orgogliosa di dire che sono un’infermiera di terapia intensiva di uno degli ospedali in provincia di Londra. Ieri mattina ho ricevuto questa lettera a lavoro da parte della figlia di un paziente che è andato al cielo qualche giorno fa. Nel nostro ospedale si dà ancora la possibilità a un parente di poter stare accanto al paziente solo durante le sue ultime ore di vita. Tranne per Richard, i figli purtroppo non potevano stare accanto a lui quel giorno, così mi hanno chiesto di restare con lui fino alla fine tenendogli la mano, come se fosse la loro nella sua. Cosi, anche in questa fredda Inghilterra dove a volte sembra che ci si possa dimenticare delle persone, vince la vita, vince il desiderio che ognuno ha di non essere abbandonato, di non restare da soli. Quando la mattina ho aperto la lettera ho capito che Qualcuno si era servito di me, che attraverso le mie mani, il mio volto e il mio lavoro Qualcuno si era presentato a me e a questa famiglia e continua a farlo, che io lo voglia o no, che io lo cerchi o no. Che liberazione pensare di non dover essere, di non dover fare, di non dover dire, ma semplicemente di dover vivere. Nonostante io, spaventata dal progetto dell’immunità di gregge, sarei voluta fuggire e tornare dalla mia famiglia, è questo il mio posto al momento: in questo Paese, in questa città e in questo ospedale per far sì che Qualcuno, attraverso di me, si palesi.”.