di Francesco Inguanti
A conclusione della 41° edizione del Meeting di Rimini, che causa coronavirus è stato possibile seguire via etere in circa 150 città d’Italia, abbiamo chiesto a Giuseppe Lupo, presidente del Centro Culturale “Il Sentiero”, che è stato tra i promotori delle giornate palermitane, un giudizio sui giorni trascorsi a Villa Magnisi, sede dell’Ordine dei Medici, che ha ospitato le manifestazioni locali.
Quella di quest’anno è stata certamente un’edizione diversa da tutte le altre. Si sono sprecati gli aggettivi: eroica, speciale, ecc. Come definirebbe quanto accaduto a Palermo?
Credo che potremmo definirla emblematica, perché è segno di come le cose che vengono intensamente desiderate possano essere realizzate, pur rispettando le regole più rigide. Emblema del fatto che l’uomo che vuole costruire trova alleati nei più disparati ambienti (vedasi la disponibilità davvero ragguardevole dell’Ordine dei Medici, che ha messo a disposizione la propria sede) e che il valore della riflessione su ciò che accade emerge e si distingue dall’indiscriminata ripetizione di narrazioni sterili.
Quali sono i numeri della versione palermitana, in termini di presenze, manifestazioni, volontari, ecc.?
Vi sono state circa 500 presenze distribuite nei 4 giorni in cui siamo stati a Villa Magnisi, per 25 incontri trasmessi e un totale di circa 35 ore di conferenze. Più di trenta volontari che si sono dati i turni per sostenere l’iniziativa, i quali si sono anche autotassati per finanziare i costi vivi dell’organizzazione dell’evento.
Come spiega il consenso espresso da quanti vi hanno partecipato?
Il consenso della gente manifesta un riconoscimento del valore dell’iniziativa del Meeting, che da oltre 40 anni è punto di riferimento nell’estate della nostra penisola. D’altro canto quello che salta all’occhio è che nessun evento online può sostituire la forza della presenza dei relatori, il carisma dell’oratore e il valore del tempo vissuto in comune. La gente ha grande voglia di incontrare personalmente qualcuno che possa dire una parola su ciò che sta vivendo e sul come non rimanerne schiacciati.
Come avete affrontato e risolto la rigidità delle procedure imposte per tutelare la salute dei partecipanti?
Abbiamo seguito fedelmente le normative vigenti, dalle mascherine al distanziamento, dal termoscanner all’ingresso con relativa registrazione dei partecipanti intervenuti agli incontri. Seguire le regole è stato un modo per avere cura dei nostri ospiti e al contempo di proteggere i più vulnerabili: è stato in fin dei conti l’unico modo ragionevole per poter fare un evento aperto a tutti. Credo che il clima creato dai volontari bardati di mascherina per oltre 6 ore al giorno, sia stato quanto di più efficace si potesse fare: attenzione all’altro e sacrificio personale. Detto questo, la cosa più bella è che nessuna mascherina ha impedito di fare dirompere i sorrisi, i gesti di condivisione e le facce gioiose del Meeting: vero motore nascosto di questa grande festa dell’umano.
Come pensate di proseguire alla luce dell’esperienza nella programmazione di quest’anno?
Vorrei citare per prima cosa una iniziativa che abbiamo promosso a luglio. Una serie di visite guidate in città con un numero predefinito di partecipanti e le necessarie misure di sicurezza. Siamo stati tra i primi ad invitare a superare la paura con la cordialità del rapporto umano. In quel caso eravamo non più di 30 persone e all’aperto. La scorsa settimana abbiamo superato le 100 persone al chiuso. I controlli cui siamo stati sottoposti sono stati superati. Allora si può e si deve continuare. Si può essere responsabili senza rinunciare a vivere ed anche a vivere insieme. Il Meeting di Rimini e noi a Palermo lo abbiamo dimostrato. Cito la risposta che Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha dato alla conclusione del Meeting su questo tema: “La gente responsabile è quella che è in grado di osservare tutti i vincoli senza rinunciare a costruire. Riuscire a fare il Meeting a pandemia in corso è un miracolo, certo, ma si colloca nel solco degli ultimi quindici anni di Meeting, in cui di fronte alle crisi continue, invece di lamentarci si rispondeva sì, ci stiamo. È un miracolo della sussidiarietà, che è indomita.”