di Francesco Inguanti
L’uccisione del giovane Benedetto Ferrara, avvenuta la sera del 15 ottobre scorso a Camporeale costituisce l’ennesimo anello di una lunga catena di azioni violente che sembra contraddistinguere in modo particolare una fascia generazionale dei tempi che viviamo. Ai fatti di livello nazionale, come quello di Willy a Colleferro, che assurgono agli “onori” della cronaca a quelli di livello locale, che colpiscono le comunità che in quei luoghi vivono, si associa una inconscia rassegnazione a cui si contrappone la ricerca del motivo scatenate, che ha lo scopo di assopire in pochi giorni le nostre coscienze. Così accade sempre che ciascuno dopo aver ricercato il motivo dell’omicidio e averlo rimosso perché lontano mille miglia dal proprio orizzonte col suo pensier farà ritorno al travaglio usato di leopardesca memoria.
L’impegno con la vita quotidiana diviene così l’alibi migliore per non fermarsi sul ciglio della strada come il sacerdote e il levita fecero nella famosa parabola del samaritano e non porsi domande che riguardano tutti. Perché accadono questi fatti? Perché la violenza gratuita è divenuta elemento costitutivo del nostro vivere sociale? E soprattutto: che c’entro io con tutto ciò? Che responsabilità ha la comunità dove questi fatti accadono?
Abbiamo girato questi interrogativi ad alcuni esponenti della Chiesa locale per sapere cosa si è fatto e cosa soprattutto si può fare.
Partiamo dal punto di osservazione e di giudizio affermato dall’Arcivescovo Michele Pennisi nel messaggio inviato in occasione dei funerali, lì dove si dice: “Se possiamo rintracciare nella gelosia il movente di questo grave gesto che va condannato, come ogni altra forma di violenza, senza cercarne giustificazioni, dobbiamo tuttavia interrogarci su un disagio che ha radici profonde e che accomuna non pochi giovani della nostra terra”. Di questo disagio è facile parlare perché colpisce tutti anche se in modo particolare i giovani. Si tratta di capire quali strumenti siamo in grado di mettere in campo per contrastarlo.
Sempre nel suo messaggio mons. Pennisi aggiunge: “Le istituzioni civili e militari, e le agenzie educative, come la scuola, la comunità ecclesiale, le associazioni locali, siano incoraggiate a fare di più, alla luce anche dell’impegno educativo di figure, come la maestra Maria Saladino, che in passato si sono impegnate tanto per i giovani del territorio”.
Abbiamo chiesto a don Giuseppe Gradino che è stato il parroco della Chiesa di Sant’Antonio da Padova di Camporeale per oltre 10 anni quale è stata la sua esperienza in merito. Ci dice subito che ricorda gli anni trascorsi a Camporeale come “i più belli e intensi della vita sacerdotale”. Adesso da pochi anni è parroco a Torretta.
“Giunto a Camporeale ci dice – ho preso atto della totale mancanza di luoghi di aggregazione per i ragazzi e così ho affittato un locale vicino la parrocchia per svolgervi attività ludiche e ricreative. I risultati positivi ci sono stati, ma la sua chiusura, dovuta anche ai costi di gestione, ha privato i giovani e il paese di un piccolo ma significativo luogo educativo”.
Ed ecco che l’emergenza educativa, alla quale recentemente ci ha richiamato anche papa Francesco, torna con tutta la sua urgenza.
Don Francesco Di Maggio camporealese doc ricorda anch’egli con una punta di rimpianto gli anni in cui in paese si vivevano molte esperienze positive con i giovani. “Vi era un tessuto ecclesiale – ricorda – molto esteso, costituito dalla presenza di ordini religiosi attenti alle dinamiche educative e anche un contesto sociale più disponibile alla collaborazione, in cui le famiglie si impegnavano, forse più di ora”. Adesso a Camporeale le poche suore rimaste che fanno il possibile e corrono per ogni esigenza, devono occuparsi anche di liturgia e catechesi ai bambini della prima comunione. Le fasce giovanili sono lasciate sole e vivono tra il miraggio della grande città e l’illusione di poter lasciare la Sicilia per trovare lavoro al nord.
Ma don Di Maggio va oltre e spiega: “Un Centro giovani, o ludico, non serve se rimane un luogo privo di presenze di riferimento. Al contrario diventa significativo se coloro che lo animano, con la loro presenza, sono già un riferimento umano e spirituale. A Camporeale quel Centro mi ha permesso di conoscere i giovani di allora. Dopo sei anni di seminario, rientrato in paese i giovani non erano più gli stessi di una volta. Grazie a quel Centro aperto nelle ore serali (a volte l’unica luce della piazza, dove spesso non funzionava l’illuminazione pubblica) ci siamo accorti che si stava formando una banda delinquenziale di giovani, con tanto di leader”.
Ciò che colpisce in questi racconti è che proprio a Camporeale è vissuta fino a poco tempo fa una grande educatrice, Maria Saladino, che tanto si è battuta per dotare il suo paese di strutture educative per i giovani ampliando la sua opera di recupero per << i bimbi senza sorriso>> del Belice. Di Maria Saladino si è avviato il processo di beatificazione in sede diocesana, ma non sembra che la sua figura e il suo insegnamento destino molto interesse tra i giovani.
Don Di Maggio anticipa una iniziativa che intende portare avanti nella zona. “Ho invitato i giovani di Roccamena, dove svolgo da un anno il mio ministero sacerdotale, a trascorrere alcuni momenti di convivenza insieme per scoprire aspetti e luoghi del paese che non conoscevano. Nella discussione libera e spontanea che è accaduta hanno posto domande molto impegnative su di loro e sulla loro vita. Ho compreso che hanno un grande desiderio di comunicare, come sanno e come possono, Così con loro e con l’aiuto del servizio della Pastorale dei Giovani della diocesi, ho in animo di aprire una radio web diocesana, con sedi locali, che metta i giovani in dialogo fra loro.”.
Camporeale è un paese segnato profondamente dal terremoto del 1968 e soprattutto dalla sua ricostruzione. Nei fatti il paese è diviso in due: la zona vecchia che si è in parte ripopolata e cui i camporealesi si sentono di appartenere, e quella nuova, un quartiere satellite con i servizi, scuola, municipio, posta ecc., ma priva di luoghi di incontro. Strade lunghe e large buone per posteggiare e percorrere in macchina, ma non a piedi. Molte abitazioni sono vuote perché la gente ha tentato di tornare a vivere nella zona vecchia e una totale mancanza di vita associativa soprattutto serale. Solo le pizzerie sono luogo di incontro.
A giudizio di don Gradino “questo ha inciso pesantemente non solo sulla generazione degli anziani, ma anche su quella dei più giovani. Chi ha la macchina la sera cerca di andar via raggiungendo Palermo, gli altri rimangono in paese e magari trovano piacevole occupare il tempo a spaccare vetri o a bere birra fino a notte fonda”. Gli chiediamo dei rapporti con la scuola. “Sono buoni – risponde – non vi è dubbio. Ma non basta perché spesso manca l’anello delle famiglie e quindi l’impegno si ferma a metà strada”.
Anche il nuovo Arciprete di Camporeale don Antonio Caruso non nasconde la sua preoccupazione. Nell’omelia per il funerale di Benedetto Ferrara ha invitato tutti a non prendere il posto dei giudici, a “non dare giudizi affrettati e condanne anticipate”. E poi rivolgendosi direttamente ai giovani ha affermato: “Giovani non scimmiottate l’Amore, non giocate coi sentimenti. Fate della vostra vita un capolavoro di bene… Una vita senza Dio non è vera vita”.
Ed ecco che si torna là dove abbiano iniziato, il messaggio di mons. Pennisi che così si conclude: “Ogni cittadino, ogni fedele si impegni seriamente, a dare il massimo nel processo educativo che deve tornare a ripartire in particolare nelle famiglie. So che a volte non è facile, e proprio per questo dobbiamo collaborare tutti, interrogandoci sul nostro agire: se abbiamo fatto abbastanza o se anche noi, con la nostra indifferenza verso i nostri giovani, siamo corresponsabili del loro spesso deviato percorso che non sfocia nella sana maturità”.
Proprio il 15 ottobre papa Francesco nel suo intervento al Global Compact on Education ha detto: “È tempo di sottoscrivere un Patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature”. E poi ha spiegato: “Noi riteniamo che l’educazione è una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia. L’educazione è soprattutto una questione di amore e di responsabilità che si trasmette nel tempo di generazione in generazione. L’educazione, quindi, si propone come il naturale antidoto alla cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell’io e nel primato dell’indifferenza. Il nostro futuro non può essere la divisione, l’impoverimento delle facoltà di pensiero e d’immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione. Il nostro futuro non può essere questo. Oggi c’è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società”.
Certamente questo Patto educativo si può e si deve sottoscrivere anche a Camporeale. Anche per tener viva la Memoria di Benedetto Ferrara.