di Francesco Inguanti
La tragica fine di Antonella, la bambina palermitana morta per una challange fatale, forse dopo una sfida estrema di soffocamento su Tik Tok, ha provocato molte reazioni ed un vasto dibattito. Abbiamo posto alcune domante al professore Francesco Pira, Associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, Delegato del Rettore alla Comunicazione, Coordinatore Didattico del Master in Social Media Manager dell’Università di Messina e studioso attento e competente del mondo social. Tra pochi giorni pubblicherà il volume “Figli delle App” nella Collana di Sociologia della Franco Angeli, dove racconta gli anni di ricerche sul rapporto tra pre-adolescenti, adolescenti, vecchie e nuove tecnologie. Con il prof. Pira si è svolto un interessante webinar che come diocesi abbiamo fatto il 28 gennaio 2021.
Professore, per prima cosa ci aiuti a definire il problema: quanti sono, come si chiamano, come funzionano questi social così usati da bambini e adolescenti”.
I dati della mia più recente ricerca indicano in Instagram e Tik Tok i due social network in assoluto abitati da bambini, pre-adolescenti e adolescenti. In particolare Tik Tok è prevalente fino a 14 e Instagram dopo i 14. Poi la messaggeria veloce. WhatApp è molto usata da tutti. È il mezzo con cui si comunica con la famiglia ma si possono anche compiere atti di cyberbullismo, sexting, revenge porn e body shaming. Ma c’è di fatto una cross-medialità. Ci sono anche piattaforme che gli adulti non conoscono dove i ragazzi e le ragazze invece le usano anche per atti poco opportuni. Parlo fino a qualche tempo fa di Ask.fm e oggi Tellonym, molto gettonato, con una crescita incredibile. Certo lontana da quella di Tik Tok, che vanta oltre 1 miliardo di utenti.
Quali interessi economici e non, si celano dietro questi strumenti? Chi li gestisce quali risultati vuole perseguire?
Non credo ci sia il demonio dietro queste società che gestiscono i social. Ma imprenditori che hanno fiutato quanto siamo disposti a cedere le nostre emozioni, la nostra privacy, la nostra intimità per farci giudicare e approvare dagli altri. Chi gestisce i social network o in generale piattaforme di successo vuole soltanto ottenere il massimo dalla profilazione dei suoi iscritti e guadagnarci un bel po’. Non a caso sono i più ricchi del mondo. Tutti hanno bisogno di loro. Nessuno ormai può più farne a meno. Una volta i più ricchi del mondo erano quelli che costruivano auto, aerei, navi o i titolari di grandi gruppi tessili. Oggi sono gli imprenditori a capo di Amazon, Google, Microsoft, Facebook-Instagram-WhatsApp. Fanno il loro lavoro. Con le regole nazionali che non riescono a gestire grandi gruppi mondiali.
Anche nel caso di Antonella la prima e spesso unica domanda è: di chi è la colpa? Ma basta trovare un colpevole per eliminare la causa del danno?
Noi italiani siamo molto esperti nel piangerci addosso e nel cercare il colpevole sempre nell’altro. Su tutte le questioni. Ci sono personaggi che passano ogni giorno dalle stelle alle stalle con una facilità estrema. Ma come dice un mio caro amico e collega sacerdote-psicoterapeuta il professor Umberto Fontana dell’Università Salesiana IUSVE, “sui social si passa dall’altare alla polvere ma anche quando sei sull’altare e sempre bene avere a portata di mano un’aspirapolvere”. Sinceramente non mi appassiona questa caccia alle streghe. Preferisco mettere a disposizione la mia esperienza e le mie ricerche più che indicare colpevoli. Quando è morta la piccola Antonella ogni cittadino di una società civile dovrebbe aver provato un senso di colpa.
Cosa si può fare su questo versante, cioè prima di inoltrarci sul terreno della educazione e responsabilità di scuola e famiglia?
Bisogna invertire la tendenza. Fare formazione a scuola per i ragazzi e per i docenti. Educazione ai sentimenti e al rispetto del proprio corpo e di quello degli altri. E poi una scuola per genitori per far comprendere fino in fondo le potenzialità e i rischi delle nuove tecnologie. È l’unica strada per rinascere. Un’alleanza educativa per una grande emergenza educativa. Ma tutti dobbiamo essere convinti che è una battaglia da fare.
Si dice: i bambini non votano, eppure i bambini. Eppure sembra che questo tema non interessi nessuno, nemmeno i politici che hanno bambini in casa, perché? E cosa potrebbe fare la politica?
È una società costruita sulla quantità più che sulla qualità. Un grande sociologo Zygmunt Bauman, che ho avuto il privilegio e l’onore di conoscere, l’ha definita liquida. Le istituzioni non si occupano dei bambini. Partendo dalle piccole cose. Negli aeroporti di tutto il mondo ci sono i bagni per i bambini. Qui no. È un piccolo segnale di attenzione. Un gesto. Invece nulla. La politica e le istituzioni possono fare tantissimo. Basta volerlo. Non c’è più tempo da perdere. Progetti e programmi immediati per affrontare l’emergenza educativa.
Che tipo di conseguenze si registrano sul piano clinico, da quando suicidio, autolesionismo, ecc. sono divenuti casi abituali di “incidenti” tra i giovani?
Non sono un medico, ma posso dire che autorevoli dirigenti del Bambin Gesù di Roma hanno fornito un dato preoccupante. Durante la pandemia sono aumentati del 30% i ricoveri per autolesionismo o suicidi. È assurdo. Sono tantissimi i ragazzi e le ragazze che si fanno del male.
Come la pandemia ha cambiato e sta cambiando i giovani?
Tra gli innumerevoli articoli che mi hanno fatto riflettere c’è quello del portale Huffingtonpost, scritto da Ilaria Betti, che riporta i dati condivisi da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Vicari ha dichiarato, al portale Huffingtonpost, che stiamo assistendo a due fenomeni: “Abbiamo gli adolescenti che per autoaffermarsi diventano aggressivi, fanno male agli altri, fanno male ai genitori, si tagliano, diventano intrattabili. Dall’altra, abbiamo i giovani che si chiudono a riccio, si rifugiano nel loro mondo e nella loro stanza e non sappiamo se avranno voglia di uscire fuori da questo guscio, una volta passata la tempesta.
Possiamo dire che questa situazione produce disturbi più gravi?
Il fatto è che la pandemia sta facendo aumentare lo stress e lo stress facilita la comparsa di una serie di disturbi, principalmente disturbi d’ansia, disturbi del sonno e depressione. Aumentano per una serie di fattori: prima di tutto, c’è la paura di ammalarsi che i bambini e i ragazzi ‘respirano’ dentro casa. Poi c’è l’assenza del gruppo dei coetanei che fa da ammortizzatore. Un adolescente – lo siamo stati tutti e lo sappiamo benissimo – parla poco con mamma e papà. Se deve raccontare un problema preferisce confrontarsi con un amico, con il compagno di banco. Questa interazione in presenza non c’è più e a distanza non è la stessa cosa”. Io condivido il suo pensiero, poiché questo cambiamento di stile di vita ha acuito dinamiche che palesano disagi già latenti nei nostri giovani. La relazione virtuale, di qualsiasi natura essa sia, non può mai compensare la relazione vissuta in concretezza nella realtà di tutti i giorni, anzi diventa frustrante.
Che tipo di identificazione vivono questi giovani con gli “eroi” di questi social?
Il desiderio dei giovani è quello di assomigliare quanto più possibile agli Influencer e ai Tik Toker, perché i social rendono queste star molto vicine ai ragazzi. Vivono la loro quotidianità sempre connessi e lo spazio tra reale e virtuale si è molto ristretto. Quindi cercano di emularli in tutto e non si rendono conto che il voler essere qualcun altro provoca ulteriori insicurezze e frustrazioni. Adesso, le ragazzine alla domanda: “che mestiere vorresti fare da grande?” rispondono “la fashion blogger o l’Influencer” e questo la dice lunga…
Lei ha scritto che le fragilità dei ragazzi derivano da una iper rappresentazione di sé? Che vuol dire in concreto?
Una delle caratteristiche principali che emergono dalla mia ultima ricerca, relativa alle dinamiche comunicative social, è l’individualismo, la concentrazione su di sé. Il voler offrire una certa immagine di sé agli altri attraverso i social network, giungendo a limiti estremi. Ecco il perché di sfide assurde e pericolose che i giovanissimi decidono di intraprendere, esponendo la propria immagine senza alcuna protezione e mettendo a rischio la propria vita. L’elemento principale da non sottovalutare è quel sentiero della solitudine che i giovani hanno iniziato a percorrere. Sempre connessi col mondo, ma sempre più isolati e chiusi in sé stessi. Un processo che spinge a riflettere ancora una volta sui rischi della “vetrinizzazione” di cui ha parlato il sociologo Zygmunt Bauman “oggi non siamo felici ma siamo più alienati, isolati, spesso vessati, prosciugati da vite frenetiche e vuote, costretti a prendere parte a una competizione grottesca per la visibilità e lo status”. Le conseguenze possono essere gravissime, come abbiamo avuto modo di osservare.
Ed ora veniamo alla scuola. Che si può fare, prima che sia troppo tardi?
Oggi credo che i modelli tradizionali di educazione siano superati e serva un nuovo approccio alla formazione delle nuove generazioni. Siamo di fronte ad una sfida di rilevanza globale che può essere realizzata solo se si dà vita ad una nuova costruzione autonoma di significato. Bisogna innescare un nuovo processo culturale che deve investire tutti i settori più importanti come: la politica, il mondo dell’informazione, il sistema dell’istruzione e della conoscenza. Se ciascuno riesce a recuperare il proprio ruolo e torna ad essere una guida, costruendo nuove regole e non semplicemente adottando regole e strumenti che l’industria del web (e quindi in parte della disinformazione), realizza per alimentare il proprio business, allora sarà possibile invertire l’attuale tendenza. Solo la cultura e gli strumenti d’interpretazione possono sostenere gli individui e la società nel suo complesso. La formazione è importante e credo non si debba smettere di educare tutte quelle figure che devono guidare nel loro percorso di crescita le nuove generazioni. Non mi stancherò mai di sostenerlo, ma serve educare ai sentimenti ed è necessario rispolverare quei valori che non esistono quasi più come il rispetto dell’altro e dell’altrui diversità.
Ed ora la famiglia? I genitori di oggi partono da una iper protezione dei figli che poi ad un certo punto si trasforma in abbandono, trascuratezza, disinteresse, ecc. Come si possono aiutare con riferimento all’argomento dei social?
In questo vortice di iper protezione recenti dati di ricerche lo confermano, però, i genitori sono poco consapevoli dei pericoli e dell’uso che i loro figli fanno delle nuove tecnologie. I dati diffusi in occasione delle “Giornata sulla sicurezza informatica” ci presentano un quadro allarmante, con bambini e ragazzi sempre connessi e genitori spesso all’oscuro dell’uso o dell’abuso dei figli sulla rete e con la rete. Le nostre vite sono sempre più regolate da Facebook, Google, Twitter, Whatsapp, Youtube e da Tik Tok. Questo non significa soltanto che siamo connessi e che le nostre relazioni si costruiscono attraverso i social media, ma vuol dire soprattutto che siamo guidati dalle funzionalità sviluppate all’interno di queste interfacce tecnologiche, che sono più o meno fruibili in funzione del supporto di cui disponiamo. Noi adulti abbiamo il dovere di presidiare e soprattutto di educare i nostri figli ad un uso consapevole del web. Non vietare, ma guidare ad un corretto uso delle tecnologie.
Cosa può fare un genitore con figli adolescenti?
Ho analizzato diversi casi che riguardano le cosiddette “Mamme sentinelle” ed in particolare mi ha colpito il caso di una madre che dopo aver scoperto che il figlio su Whatsapp era iscritto a due gruppi con nomi in codice “Tana della Luna” e “Scooby Dank”, dove si condividevano immagini e video “gore”, torture e suicidi, ha avuto paura e ha consegnato lo smartphone del figlio alla Polizia Postale che non ha esitato ad aprire le indagini e scoprire un terribile mondo sommerso di perversioni e pedopornografia infantile divulgata online lungo tutto lo stivale. Molti sanno che sugli smartphone dei loro figli, come ha potuto appurare la Mamma Sentinella, girano immagini erotiche, ma non hanno il coraggio di denunciare. Invece, non bisogna aver paura e denunciare senza esitazione. Ma per farlo dobbiamo conoscere i social network, le piattaforme di messaggistica istantanea, capire quali sono i nuovi codici, i nuovi meccanismi di comunicazione e i nuovi linguaggi.
Molti genitori ammettono con candore e terrore di non avere le conoscenze minime per gestire questi processi. Basta fornire loro più nozioni sui contenuti di funzionamento e sui rischi della pericolosità?
Ribadisco ci vuole una Scuola per Genitori. Un impegno forte per comprendere come la nostra società e quali sono le nuove esigenze educative, oltre a combattere le emergenze. I genitori devono sapere che esiste il parental control, per vedere a quali siti accedono e quanto navigano i loro figli. Già ottenere che tutti i genitori siano consapevoli dei rischi e delle opportunità rappresenterebbe un grande successo.