di Francesco Inguanti
“Quale piega può prendere la vita? …. Dipende dallo sguardo, ossia da come uno guarda il bicchiere: può essere mezzo pieno oppure mezzo vuoto. Che può voler dire: c’è chi si accontenta e chi non è mai sazio. Ma anche qui il tema, se non resta sulla superficie, non è mai quantitativo, bensì di sostanza. Che cosa riempie veramente la vita?”
Così inizia l’ultimo libro di Paolo Massobrio, “Del bicchiere mezzo pieno, quando nella vita conta lo sguardo”, Editions Comunica, che non è un filosofo né lo è questo suo ultimo libro. Massobrio è noto per le sue competenze enogastronomiche e per i suoi libri sul tema, il famoso dei quali esce periodicamente e si chiama “Golosario”.
Nell’introduzione racconta della sua vita e come da laureato in Statistica economica e avendo fatto una tesi che incrociava i dati di tre indagini campionarie su 1.00 consumatori su 100 produttori e su 200 nuove famiglie per dire “dove sarebbe andati i consumi in quegli anni” iniziò ad amare la campagna, le sue coltivazioni e le sue produzioni. La svolta accadde nel 1991 quando: “ … con alcuni amici fondai un giornalino di pura critica gastronomica solo per la provincia di Alessandria, e lo battezzammo Papillon, nome di un movimento di consumatori che prese avvio due anni dopo, quando organizzai un leggendario Treno Enogastronomico in onore di Giacomo Bologna”.
Questo libro mette insieme tanti personaggi, tanti fatti, tanti ricordi che costituiscono la struttura portante della sua vita. Ma il file rouge che li unisce non è l’arte del mangiar bene quanto la passione per le persone incontrate, tutte unite tra loro dal gusto della buona cucina.
Il libro diviene così un affresco della sua vita, con tanti personaggi, alcuni noti altri meno noti, con i quali ha condiviso il gusto del vivere bene, attraverso la passione per il cibo buono e genuino.
Ed i personaggi compaiono con tutta la loro umanità e le loro storie, con l’impegno che ciascuno ha messo nel lavoro, nella famiglia nella vita. Molti sono assolutamente anonimi. Molti impegnati nel lavoro agricolo. Molti lontano dai riflettori. Tutti amano la vita e lo dimostrano con la loro vita, in cui la fatica e il gusto per la tavola sono un tutt’uno, perché l’una sostiene l’altro e viceversa.
I racconti sono tanti e indicarne solo alcuni è difficile. Meglio che il lettore ne scelga qualcuno da leggere ogni giorno. Fanno compagnia e aiutano anche a comprendere il valore della sana campagna e della buona cucina di cui spesso ci dimentichiamo.
Si potrebbe citare l’ultimo, che ha per titolo “Il Padre”. È autobiografico e parla dei suoi tre figli ormai adulti e inseriti nel mondo del lavoro. Nelle poche pagine pone un interrogativo molto importante: Come si diventa padri? Dopo aver affermato che non c’è una scuola dove imparare, che tutto si gioca nell’educazione che si riesce ad offrire aggiunge che “c’è anche il fattore C che potremo chiamare “Cuore”, e aggiunge: “perché ogni essere umano è dotato di questo afflato che lo spinge a desiderare il bene, la felicità, altrimenti come farebbe un giovane a prendere in mano la propria vita, magari con dei genitori sbagliati?”.
Il libro è anche una testimonianza di come il fattore C ha giocato nella storia di Paolo Massobrio nella quale la passione per alcuni aspetti del vivere bene hanno saputo coniugarsi con desiderio di una vita piena, e piena di significato, resa tale anche per i tanti incontri significativi che in essa si sono svolti.