di Francesco Inguanti
Mons. Pennisi ricorre oggi la festività di San Giuseppe e per il secondo anno consecutivo sembra che il Covid-19 occupi la scena più di lui. Ma chi è più forte? Chi vincerà alla fine?
San Giuseppe non è in competizione col Covid né con nessuno, anche perché lui ha già vinto il tempo e gode in Paradiso della beatitudine di tutti i santi. Certo il nostro modo umano di ricordarlo, attraverso riti e gesti di vario genere così cari alla nostra tradizione, deve fare i conti con una emergenza, che per quanto grave, rimane sempre un’emergenza. Ma San Giuseppe ci può essere di aiuto anche nell’affrontare questa emergenza.
In che senso ci può aiutare?
Innanzitutto facendoci approfondire e capire meglio la sua figura, la sua storia e l’attualità della sua persona. Quest’anno, come già l’anno scorso, potremo impegnarci di più a comprendere per esempio come lui abbia affrontato le emergenze della sua vita e forse da questo potremo trarre qualche insegnamento anche per le nostre.
Ci può fare qualche esempio?
Partiamo dalla prima e più grave emergenza che ha dovuto fronteggiare: la maternità di Maria che rischiava, secondo i canoni e i linguaggi attuali, di passare nella migliore delle ipotesi per “ragazza madre”, altrimenti avrebbe subito la lapidazione, come le leggi in vigore prevedevano. Giuseppe ha reagito fuori dai canoni tradizionali e a portato a compimento il disegno di Dio.
E in concreto come si è comportato?
Oggi un fidanzato deluso o un marito che si sente tradito reagisce con violenza psicologica, verbale che in casi sempre più frequenti sfocia nei femmini-cidi. Giuseppe, che pure era influenzato da una cultura patriarcale e maschilista, si presenta come un uomo ragionevole, rispettoso, delicato che vuole salvaguardare la reputazione e la dignità della sua donna.
E l’attualità in cosa consiste?
San Giuseppe risulta una figura molto attuale per la nostra generazione alla ricerca di una serena convivenza familiare basata sul dialogo e la reciproca comprensione fra gli sposi e fra i genitori e i figli. Egli risulta una figura contro corrente in una società come la nostra basata sull’apparire piuttosto che sull’essere, sulle chiacchiere sterili piuttosto che sui fatti concreti, su una vita facile che pretende tutto e subito piuttosto che sulla pazienza e sullo spirito di sacrificio, sulle convivenze instabili e passeggere piuttosto che sulla fedeltà faticosa di un impegno matrimoniale per tutta la vita. Ma sono state tante altre le situazioni di emergenza che ha dovuto fronteggiare.
Per esempio?
Partiamo dall’inizio. Giuseppe aveva già trovato il sistema per salvare la vita di Maria e la sua reputazione, rimandandola a casa sua. Poi il sogno, l’intervento di Dio nella sua vita. Giuseppe è l’uomo che accoglie il sogno di Dio e scopre in esso la dimensione più profonda della vita e il senso degli eventi. Una volta che ha compreso il disegno di Dio, accetta, non come strumento passivo, quasi fosse un burattino nelle mani del Creatore, ma con la consapevolezza del suo ruolo di sposo e di padre. Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente, ma coraggioso e forte, capace di iniziativa. Uomo pratico e silenzioso, Giuseppe non risponde alla chiamata di Dio con le parole, ma con i fatti.
Ci spiega perché la sua famiglia viene additata dalla Chiesa come la “Sacra famiglia”
Per quanto siano scarse le notizia sulla loro convivenza quotidiana è certo che quella famiglia, pur nell’anonimato, era una famiglia come tutte le altre, alle quali il Signore non ha fatto sconti, non ha risparmiato nulla. Hanno vissuto il dramma della fuga dal loro paese, la decisione di abitare in un paese diverso da quello che avevano ipotizzato, hanno vissuto il conflitto generazionale tra un adolescente che vuole affermare la propria autonomia e dei genitori preoccupati per la sua sicurezza. Hanno vissuto anche il dramma della morte del capo famiglia, di cui siamo certi, anche se i Vangeli non ne parlano. La presenza di Giuseppe a fianco di Maria suggerisce la realtà di una coppia realmente affiatata, tutta protesa alla costruzione di una famiglia al cui centro sta la ricerca della volontà di Dio e dell’obbedienza alla sua legge. E poi non dimentichiamo la responsabilità educativa che Giuseppe ha esercitato nei confronti del figlio Gesù.
Che vuol dire questo?
Essere padre è stato per Giuseppe innanzitutto essere servitore della vita, e dell’educazione di Gesù per favorire la sua crescita in età, sapienza e grazia. La sua vocazione è stata di dare a Gesù tutto ciò che può dare un padre umano: l’amore, la protezione, la sicurezza, il nome, un mestiere, una casa. Giuseppe è un vero capofamiglia, che non vuole essere un padre-padrone detentore del potere, ma aiutare i membri della famiglia a lui affidata a realizzare la propria vocazione. Ricordo che a quei tempi l’educazione dei figli veniva impartita dai padri e non dalle madri, e Giuseppe non si è sottratto a questo compito, insegnando a Gesù anche un mestiere con cui si è mantenuto fino ai trent’anni.
A proposito di lavoro. Perché san Giuseppe è divenuto anche il patrono dei lavoratori? Solo per contrapporre alla festa laica del 1 maggio, un contraltare cattolico?
Oggi le contrapposizioni ottocentesche non reggono più, sono in parte anche dimenticate. Rimane il fatto che San Giuseppe era un carpentiere che ha lavorato onestamente per garantire il sostentamento della sua famiglia. San Giuseppe esercita la custodia della Santa Famiglia di Nazareth con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge.
Torniamo all’oggi. Quali insegnamenti possiamo trarre dalla sua figura?
Matteo nel suo Vangelo ci dice che Dio può sorprenderci e che quando abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino, verso un orizzonte che ci resta oscuro. Questo accade anche oggi a ciascuno di noi. In Giuseppe vediamo il dramma di ogni credente, le incertezze, il percorso che deve fare per accogliere il dono. Giuseppe ci indica un modello di vera e attiva collaborazione con il disegno di Dio. Il testo biblico suggerisce che non vi è situazione umana, per quanto lacerante o dolorosa o contraddicente, che non possa essere vissuta con umanità e con santità. E questo vale oggi anche in piena pandemia, come ripetutamente ci ha detto papa Francesco. La figura di San Giuseppe, vero uomo, padre e credente, può essere un modello per ricostruire nuovi equilibri in questo tempo di ansie, di frenesie, di crisi famigliari e della eclissi della figura del padre. San Giuseppe ci mostra che la Storia della Salvezza si compie dentro una vita normale, dentro una famiglia, dentro un lavoro umile e dignitoso, dentro la fatica, dentro i timori che accompagnano ogni esistenza umana.
Cosa può suggerire la figura di san Giuseppe in questo periodo contraddistinto dalla pandemia e da tante privazioni e costrizioni?
Durante questi mesi di pandemia, San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che cerca spiegazioni teoriche, ma una via che accoglie la realtà nella sua crudezza. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. E cosa c’è di più simile alle situazioni in cui visse della nostra condizione pandemica?
Rimane il fatto che dovremo rinunciare per il secondo anno ai festeggiamenti legati alle nostre tradizioni. Come fare?
Tutta la tradizione siciliana legata alla festa di San Giuseppe, padre della Divina Provvidenza, parla di condivisione e di fraternità. Le tavolate ricche di piatti tradizionali da offrire a chi è nel bisogno, la minestra cucinata da alcuni e consumata nella condivisione, il pane donato dalle famiglie e benedetto distribuito ai poveri, sono l’espressione più bella di un popolo che vuole testimoniare la sua fede operante attraverso la carità. Non potremo utilizzare formule consolidate e forse in alcuni casi superate. C’è sempre lo spazio per l’inventiva, che per altro non manca al nostro popolo cristiano. E tutti possono dedicare un po’ del loro tempo per compiere gesti di carità e alla lettura della recente Lettera del papa su San Giuseppe.
Quale?
In occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa Cattolica papa Francesco con la lettera apostolica “Patris corde” (Con cuore di Padre) ha indetto uno speciale Anno di San Giuseppe. In essa il Santo è definito in sette modi: “Padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre del coraggio creativo, padre lavoratore, padre nell’ombra”. Sono poche ma molto intense pagine che invito a leggere. È certo un modo facile e semplice per festeggiare quest’anno San Giuseppe.