di Francesco Inguanti
Non vi è dubbio che la pandemia ha generato un maggior desiderio di pregare anche grazie agli accorati inviti rivolti dal Papa in questi lunghi mesi. L’ultimo è stato rivolto alla Chiesa Cattolica affinché dall’1 al 31 maggio si dia vita ad una sorta di “maratona” di preghiera per invocare la fine della pandemia Covid-19. In questo quadro ha destato parecchio scalpore la presa di posizione dello studioso Vito Mancuso che ha obiettato dicendo: “pregare Dio perché intervenga nel mondo e metta fine all’epidemia significa tornare al principio medievale dell’eteronomia del mondo, il che oggi, a mio avviso, lo si può fare solo sacrificando l’onestà intellettuale”.
In questa intervista chiediamo a don Rino La Delfa di spiegare i termini e i concetti con i quali è stata formulata l’obiezione di Mancuso.
Cosa significa “eteronomia”?
Eteronomia si contrappone ad autonomia. Il concetto di eteronomia vagamente implica il coinvolgimento di Dio nelle cose e nelle sorti del mondo. Il concetto di autonomia a sua volta rivendica la libertà del mondo in ordine al proprio progresso in ogni ambito e specialmente nelle scienze. Il Concilio Vaticano II aveva chiarito con esattezza il loro significato nella Costituzione pastorale sulla Chiesa, Gaudium et spes, al paragrafo 36. Partendo dal presupposto che «la creatura senza il Creatore svanisce», e per sfatare il timore che la religione possa influire fino al punto di impedire la legittima autonomia degli uomini, delle società, delle scienze, il Concilio spiega che le realtà terrene, le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare. Questo tipo di autonomia è giustamente rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma, suggerisce il Concilio, è anche conforme al volere del Creatore. L’uso adeguato dell’autonomia se attuato nel rispetto delle leggi delle scienze e secondo le norme morali, non può mai essere in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono, e a lui conducono. Lo stesso Concilio deplora certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, che hanno condotto a ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro. Gaudium et spes dichiara tuttavia falsa l’opinione di quelli che con l’espressione «autonomia delle realtà temporali» intendono dire che le cose create non dipendono da Dio e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore.
Cosa si intende per “principio medievale dell’eteronomia del mondo”
È un dato di fatto che una certa comprensione di eteronomia, da parte di numerosi cristiani, sia stata nel passato tanto dannosa quanto una certa comprensione di autonomia da parte di taluni sostenitori della modernità. Nelle Chiese cristiane, i teologi sono stati divisi per secoli su questa questione. Volendo semplificare, senza la pretesa di spiegare esaustivamente: la posizione di san Tommaso, che è quella prevalsa nella tradizione cristiana, sostiene che la moralità è fondamentalmente razionale, perché riflette la sapienza divina. Esclude dunque una visione acquiescente di eteronomia, basandosi sul fatto che Dio ha già impresso nel mondo e nell’uomo le sue leggi. Al contrario, la posizione volontarista, sorta anch’essa in periodo medievale, sostiene contro l’intellettualismo tomista che ogni atto volontario sia libero per essentiam, sicché Dio non è oggetto di pura contemplazione intellettuale, ma fondamento e fine di ogni attività umana. Il volontarismo tiene conto della conoscenza esistenziale dell’uomo, dei moti della sua anima, dei principi che governano la sua sfera spirituale. Duns Scoto affermava che la volontà è superiore ai fini del conoscere e comprendere, dal momento che opera di amore è la creazione come l’incarnazione e la grazia. Questo postula che l’essenza della volontà sia la libertà. Se Dio crea per amore egli non è costretto da alcun vincolo. I suoi interventi sono sempre liberi. Un volontarismo teologico che potrebbe lontanamente prestare il fianco a forme di eteronomia si ritrova in Guglielmo di Ockham che sosteneva la concezione secondo cui Dio non avrebbe creato il mondo per “intelletto e volontà” (come direbbe san Tommaso), ma per sola volontà, e dunque in modo arbitrario, senza né regole né leggi, che ne limiterebbero, secondo Ockham, la libertà d’azione. In questa prospettiva sarebbe soltanto la volontà di Dio a determinare, in modo del tutto inconoscibile, il destino del singolo essere umano, lasciando intravedere una quale assoluta dipendenza delle creature da Dio.
In che maniera le ragioni dell’eteronomia possono prevalere sul principio di autonomia?
Mentre per san Tommaso l’incomprensibilità divina non significa che non possiamo sapere nulla di Dio, ma piuttosto che non saremo mai in grado di afferrare completamente il suo mistero, per alcuni volontaristi essa significa che siamo incapaci di conoscere qualcosa di Dio a meno che egli non ce lo riveli direttamente attraverso mediatori umani. La posizione volontarista implica che l’unico modo per accedere ai principi fondamentali della moralità è riceverli passivamente, in cieca obbedienza, da qualche autorità religiosa. Questa è precisamente l’eteronomia ripudiata da un gran numero di nostri contemporanei, che la considerano infantile, tipica dell’età adolescenziale, indegna dell’età adulta in cui l’Illuminismo ci ha permesso di entrare. Quando l’uomo moderno si ribella al suggerimento che i principi della moralità sarebbero imposti da Dio attraverso agenzie umane come ad esempio gli ecclesiastici, sembrano resistere più alla visione volontarista che a quella tomista (il più delle volte, naturalmente, senza essere in grado di capire la differenza). Dobbiamo ricordare che il volontarismo è stato strettamente associato, fin dai suoi inizi nel XIV secolo, all’empirismo, che confina rigorosamente con la capacità della mente umana all’interno dell’esperienza percettiva e quindi impedisce alla mente umana di cogliere oggettivamente qualsiasi idea valida su Dio e sul suo disegno sull’umanità. Ponendo un accento eccessivo sui limiti della ragione umana e fraintendendo la trascendenza divina, che essi equiparano alla libertà assoluta e insondabile, i volontaristi immaginano che ci sia un abisso invalicabile tra ciò che la ragione umana può scoprire e ciò in cui consiste il mistero divino.
Nella sua meditazione lei parla di “teonomia”. In che cosa consiste?
Prendo in prestito da Paul Tillich il concetto di teonomia (= legge di Dio) per individuare una terza posizione, al di là dell’eteronomia (= legge di un altro) e dell’autonomia (= legge propria). Tillich non ha coniato la parola “teonomia”, che già circolava nei circoli filosofici tedeschi durante il XIX secolo. Grazie a lui, però, il concetto di teonomia ha attirato l’attenzione e cominciò a designare e a specificare la relazione pregnante che si può avere tra il mondo umano e quello che lui chiamava “l’Incondizionato” (un concetto filosofico per dire Dio). Io sostengo che san Tommaso approverebbe l’idea di teonomia nel seguente senso: La legge divina che diventa legge umana. Secondo la sua visione, in cui il Creatore stabilisce un ordine legittimo che è fondamentalmente intelligibile, possiamo avere accesso alla legge divina non solo come imperativo, ma come offerta intrinsecamente comprensibile. Vale a dire che non siamo né rinchiusi nella pura eteronomia né limitati alla pura autonomia. San Tommaso infatti distingue tra legge eterna, legge naturale, legge rivelata, legge positiva, e la legge del Vangelo (o nuova legge). La legge eterna consiste nel disegno generale sulla storia, come si trova nella mente divina. La legge naturale è la comprensione incompleta e tuttavia valida dell’uomo della legge eterna. La legge rivelata è quella scritta nella Bibbia e interpretata dalla Chiesa. La legge positiva è il corpus di norme elaborate da una società. E la legge del Vangelo è la grazia interiore, instillata in noi dallo Spirito Santo, che ci permette di agire per amore. Nella preghiera, come cerco di dire nella mia riflessione, interviene questa accezione di teonomia.
Dunque sarebbe immaginabile un superamento del contrasto tra eteronomia ed autonomia in forza del concetto di teonomia?
Certamente. Lo ha già dimostrato Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Veritatis splendor al paragrafo 41, in cui afferma l’importanza dell’autonomia dell’uomo, stigmatizzando le contraddizioni e i pericoli di una eteronomia alienante, e recependo per la prima volta il concetto di teonomia per spiegare che «la libera obbedienza dell’uomo alla legge di Dio implica effettivamente la partecipazione della ragione e della volontà umane alla sapienza e alla provvidenza di Dio». I due binomi, ragione-volontà (uomo) e sapienza-provvidenza (Dio), restituiscono quell’equilibrio alla questione dell’autonomia che potrebbe venir meno quando si volesse fare pendere l’ago della bilancia da una o dall’altra parte dei termini che li costituiscono al loro interno. Il problema fondamentale evocato dalla domanda se la preghiera possa influire sulle vicende del mondo trova qui la sua comprensione. Infatti, da cristiano non saprei come interpretare l’invito evangelico a pregare il Padre per le necessità quotidiane se la mia preghiera non avesse alcun margine d’influenza e se la soddisfazione dei miei bisogni dipendesse esclusivamente dalla mia abilità e dal mio impegno. La bella massima di Sant’Ignazio che recita: “Prega come se tutto dipendesse da Dio, agisci come se tutto dipendesse da te”, invita a rinunciare al tentativo proprio di un certo razionalismo teologico che mira a quantificare la preghiera subordinandola alla sua efficacia immediata ed esperibile. Si tratta per l’uomo di recuperare con la ragione e la volontà che gli sono proprie la speculare conoscenza di Dio come infinita sapienza e concreta provvidenza. Questo fa la preghiera.