di Francesco Inguanti
Sotto la discreta e inappuntabile regia di Ino cardinale ha preso avvio ieri 9 settembre a Terrasini la IV edizione di “I MediaCei per … passione” il tradizionale evento a carattere nazionale, organizzato, in unum, anche quest’anno dall’Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Monreale, diretto da Don Antonio Chimenti e dalla Associazione culturale “Così, per.. passione!”
Ospite e relatore di assoluto rilievo mons. Rino Fisichella Arcivescovo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che è stato il primo chiamato a rispondere alla domanda che attraverserà tutti i quattro giorni della kermesse: “«La gente, chi dice che io sia? … Ma voi, chi dite che io sia?» (Mc 8,27b.29a).
L’arcivescovo non si è sottratto all’interrogativo ma ha provato a ribaltarlo, sostenendo che esso non fa che provocare la domanda che non viene fatta ma che è reale: ‘Tu chi sei?’. Fisichella ha dato subito la sua risposta. “Io avrei risposto che è il senso della mia vita. Chi incontra Cristo cambia vita, perché capisce che si incontra con la risposta alla domanda di senso della propria vita”.
A conclusione dell’incontro gli abbiamo chiesto.
Ma c’è ancora oggi nella società post-moderna di cui lei parla spesso, gente interessata a conoscere chi sia Gesù Cristo?
Fëdor Dostoevskij a metà ottocento nei suoi “Taccuini” scriveva che il problema fondamentale in Europa è se l’uomo europeo è ancora in grado di professare la sua fede in Gesù Cristo come salvatore. A mio avviso l’interrogativo di Dostoevskij permane ancora valido ai nostri giorni.
Ma la società da allora è profondamente cambiata, o no?
Certamente la società si è modificata ma non si è modificato il senso che l’uomo ha nel più profondo di sé stesso, che è appunto la capacità di andare oltre sé stesso. Il problema che vedo oggi non è tanto quello dell’ateismo, anche perché è frutto spesso dell’ignoranza.
E allora da dove partire?
Oggi la difficoltà più grande è quella di saper e poter palare di Dio all’uomo. Søren Kierkegaard diceva che se Cristo oggi dovesse tornare sulla terra, non lo metterebbero più in croce, ma lo metterebbero in ridicolo. Credo che la gente non desidera conoscere il cristianesimo perché crede di conoscere tutto. I tuttologi del web che è il nostro contemporaneo pensa di sapere tutto di sé stesso, della fede, di Gesù Cristo, della Chiesa.
E non è così?
No! Per due motivi.
Quali?
Il primo grande problema che si manifesta in tutti i settori è la profonda ignoranza della fede; e il secondo è l’indifferenza di non voler incontrare Gesù Cristo, perché l’incontro con Gesù Cristo cambia la vita. Io credo che molti dei nostri contemporanei vivano una situazione di fatto lontana dalla fede, una fede istituzionalizzata, ma non vivono però una lontananza da Dio. Credo che soprattutto nella cultura del nostro popolo ci sia ancora un profondo senso di Dio.
Un altro tema molto importante affrontato dal relatore ha riguardato il modo in cui si incontra Dio. A tal proposito ha detto che Dio non lo si scopre nel dolore ma dove si rivela per quello che è: Dio è amore. Se lo scopriamo come amore, riusciamo a dare significato alla sofferenza, al limite e alla contraddizione.
Gli abbiamo chiesto alla fine di tornare su questo tema, anche perché veniamo da tanti mesi di sofferenze e di morte durante le quali molti hanno incontrato Dio.
Cosa si può rispondere a chi afferma che è più facile incontrare Dio nella sofferenza?
Dio non lo si incontra seriamente, perché si vive la sofferenza. Quella è a mio avviso una via di fuga. Però non possiamo dimenticare che l’amore cristiano è un amore che trova la sua immagine più profonda nel crocefisso, che risorge.
Che differenza passa con il concetto comunemente condiviso di amore?
L’amore cristiano non è identificabile col concetto di amore che oggi circola nella cultura contemporanea, che ha confuso la passione con l’amore. L’amore cristiano è quello che dà tutto sé stesso, senza chiedere nulla in cambio e lo fa per sempre non in un momento soltanto Queste caratteristiche oggi la cultura difficilmente le approva, perché la cultura dice che c’è amore finché si ama. E questo è il grande inganno.
Ed invece?
L’amore c’è perché ha le caratteristiche peculiari sue, che non sono quelle che abbiamo dato noi. L’uomo non avrebbe mai visto l’amore nell’innocente inchiodato sulla croce; ma quello è il modo con il quale Dio si rivela. L’amore cristiano è una novità profonda messa in mezzo all’umanità. Sfido chiunque a trovare un testo o una testimonianza prima di Gesù Cristo che dica che l’amore significa dare tutto sé stesso per la persona amata. Questo nasce con Gesù di Nazaret che dà la sua vita sulla croce come figlio di Dio che rivela Dio. Credo che questo noi dobbiamo essere capaci di esprimere.
Ed allora qual è in sintesi questa novità?
La novità dell’amore cristiano è che dà speranza perché aiuta a vedere al di là del limite, al di là delle nostre contraddizioni, permette di dare un significato anche al dolore e alla sofferenza, perché le vede come un passaggio, non come momenti definitivi; e quindi li vede in vista della gloria della resurrezione.
Ma noi facciamo appello sempre al Crocefisso
Noi non crediamo nel Crocefisso, noi crediamo nel Risorto e quindi l’amore di Dio passa attraverso la croce, ma l’amore più profondo, quello vero è quello della resurrezione, della promessa di Dio che il suo amore non si ferma, passa attraverso la morte e la vince. Vorrei citare a tal proposito il Cantico dei Cantici.
Prego.
In esso non si trova la parola Dio, ma c’è l’espressione più convincente: “Forte come la morte è l’amore”; il che significa che siccome noi vediamo la morte come l’ultima realtà, se c’è qualcheduno che sconfigge la morte allora l’amore è vincitore e trionfa. Questo noi crediamo e di questo dobbiamo essere convinti.
Nel proseguo del suo intervento mons. Fisichella non ha mancato un riferimento a quella che si definisce cultura digitale. A suo avviso la Chiesa non ha capito molto bene questa sfida che ha messo in crisi le categorie con cui abbiamo sempre ragionato: quelle di spazio e tempo. L’arcivescovo ha inoltre ribadito la necessità di rapportarsi con gli strumenti tecnologici. Ha chiesto: “Come si conosce con questi strumenti la verità che rende liberi?” La mia risposta e che stiamo assistendo a un cambiamento antropologico. Ricordando che i ventenni sono chiamati “nativi digitali”, mons. Fisichella si è chiesto qual sia il rapporto con la verità in questa nuova cultura. Ed ha risposto: “Dobbiamo capire di quale senso di libertà parliamo. È un compito della fede aiutare a scoprire la verità. Occorre adesso vivere quell’incontro, entrando in questa nuova cultura con gli strumenti adatti e con il linguaggio con cui bisogna comunicare oggi”.