Padre Pino Vitrano. Il Banco Alimentare per la Missione non è solo cibo da distribuire, ma l’esperienza di due comunità che si incontrano

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In occasione del 40° anniversario della ordinazione sacerdotale di don Carmelo Vicari, parroco di Sant’Ernesto a Palermo è stato editato un libro dal titolo: “Don Carmelo Vicari. Parroco a Palermo” nel quale sono state raccolte testimonianze e interviste sul suo parroccato. Pubblichiamo la testimonianza rilasciata nell’occasione da padre Pino Vitrano, della Missione di Speranza e Carità.

di Padre Pino Vitrano

La mia conoscenza di don Carmelo Vicari risale a parecchi decenni fa, ed è maturata man mano nel tempo. È nata certamente in concomitanza della costituzione a Palermo del Banco Alimen­tare oltre 20 anni fa, iniziativa che la Missione di Speranza e Carità ha condiviso e sostenuto fin dall’inizio. Ma ormai essa ha ecceduto la circo­stanza della distribuzione di beni alimentari ed è divenuta una sincera amicizia, che ci unisce anche nell’eser­cizio del ministero sacerdotale. Per questo motivo ho seguito, seppur a distanza, l’esercizio del suo Ministero dalla parrocchia di San Gregorio Papa a Boccadifalco a quella della Madonna di Lourdes e adesso a quella di Sant’Ernesto.

In lui riconosco un fratello aperto alla dimensione della carità, che non può essere racchiusa nelle pur importanti iniziative del Banco Alimentare, segno indubbiamente di quanto ha impara­to da don Giussani.

Molti intendono il Banco Alimentare per quello che appare all’esterno: raccolta e distribuzione di alimenti ai bisognosi. Ma non vedono ciò che vi sta prima e dopo. Mi riferisco al retroter­ra culturale e spirituale da cui è nato e alle vicende e difficoltà umane che stanno dietro la consegna di un sacchetto di cibo.

Ascoltando don Carmelo, soprattutto in occasione della annua­le presentazione della Giornata della Colletta alimentare, que­sto aspetto decisivo e fondante è sempre stato molto chiaro. I suoi interventi sono stati sempre mirati a far cogliere le ragioni di fondo del gesto, che non sono racchiuse nella attività dei volontari o dei cittadini che consegnano il cibo che sta nel car­rello l’ultimo sabato di novembre, ma nella sensibilizzazione al valore della carità, cui tutti siamo chiamati.

La carità, infatti, non è solo un’opera meritoria, fare cioè qual­cosa per il bene degli altri, ma è un atteggiamento dello Spirito

che va preparato e sostenuto attraverso tanti piccoli gesti, volti ad esprimere la comunione e la fratellanza che ci viene dalla fede cristiana. Don Carmelo ha maturato questa sensibilità per sé e l’ha fatta maturare in coloro che ha incontrato, non solo in C. L. ma anche nelle parrocchie ove è stato e nelle tante perso­ne che ha conosciuto.

A tal proposito ricordo sempre queste parole di San Paolo VI: “Quando un cristiano prende coscienza di sé, diventa missio­nario”. L’atteggiamento missionario unisce sempre in qualun­que tempo e in qualunque condizione. Se noi sappiamo vivere lo spirito della carità saremo più uniti, genereremo fratellanza in qualsiasi parte del mondo.

Questo deve essere il cuore dello spirito con cui si vive la co­siddetta “distribuzione del Banco Alimentare”. Se manca lo spi­rito di carità, cioè di amore, riduciamo tutto a un gesto di soli­darietà, utile e necessario, ma distante da ciò a cui più teniamo.

In tanti anni di servizio ai fratelli accanto a Biagio Conte, ho imparato che la carità è una attenzione, un amore all’altro nel­la sua totalità. Dal suo bisogno di avere del cibo o un tetto, al bisogno di comprendere il senso della sua vita, soprattutto se fatta di stenti e sacrifici. La Missione è iniziata così, nell’assu­mere in toto il bisogno dei fratelli che incontravamo.

E questo ho sempre visto e ascoltato in don Carmelo: avere come obiettivo non la realizzazione in sé dell’opera, ma l’amo­re da manifestare ai fratelli attraverso la sua realizzazione. Ciò di cui tutti i fratelli hanno bisogno è sentirsi amati, magari attra­verso un letto dove dormire o una mensa ove mangiare. Carità è esprimere il desiderio più grande: quello di amare e di essere amati. In Missione ricordiamo sempre ai volontari che solo se ami il fratello puoi giungere fino al suo cuore, ma se non lo ami rimane il formalismo di un atto di generosità, che presto o tardi si corromperà.

In questo senso si possono capire le parole di San Paolo che dice che la carità non avrà mai fine, perché la carità è l’amore stesso di Dio. A dirlo è facile, a metterlo in pratica ci vuole una vita intera.

Ma don Carmelo ed io, ciascuno nel nostro Ministero sacerdo­tale, siamo chiamati a vivere questo e a comunicarlo a tutti. E questo passa e si esprime nella materialità e nella modalità dei gesti di carità di cui abbiamo detto: dare del cibo a chi non ne ha.

Il Banco Alimentare per la Missione non è solo cibo da acqui­sire per far mangiare i fratelli ospiti, ma è l’esperienza di una comunità che si incontra con un’altra comunità. Io e lui siamo rappresentanti non solo di queste comunità, ma dello spirito che le anima. Ed è a questo livello che è avvenuto e continua l’incontro.

E proprio questo spirito ha portato a compiere in questi anni altri gesti oltre quello della Colletta Alimentare. Mi riferisco alla decisione di C. L. di concludere il gesto della Via Crucis annua­le in Missione, di portare qui da noi i bambini del catechismo di Sant’Ernesto durante la Settimana Santa, di organizzare una raccolta straordinaria di coperte in parrocchia di Sant’Ernesto1, di accedere ai servizi del Banco Farmaceutico2 ed anche altre iniziative. Questi gesti hanno saputo esprimere non solo so­lidarietà umana, ma anche comunione cristiana. Il cibo per i poveri è stato lo strumento attraverso cui si sono incontrate non appena alcune persone di buona volontà, ma due comunità cristiane desiderose di affermare la testimonianza della fede nel mondo.

Nel contesto di difficoltà nel quale viviamo, la carità nasce dal bisogno materiale, e dalla sensibilità che ciascuno possiede. Oggi purtroppo a causa anche della pandemia, accade che la sofferenza dell’altro è diventata insofferenza, la mia insofferen­za nel sopportare l’esistenza e la presenza del povero. Oggi i poveri non sono aiutati a vivere innanzitutto la loro condizione di poveri con umiltà e dignità, né sono aiutati quelli che hanno qualcosa in più degli altri per maturare un cammino educativo nei confronti di chi ha bisogno; spesso si evidenzia questa in­sofferenza negli uni e negli altri, la quale porta a creare distan­ze, muri e non ponti.

Oggi mancano strutture sociali in grado di farsi carico della totalità del bisogno del povero, ma c’è una maschera che attira il povero verso elementi che non lo aiutano a crescere nella consapevolezza del suo possibile riscatto, ma lo attirano in una condizione di totale apatia, quella che il Papa chiama “scarto”, perché il povero anche se povero ha sempre una sua dignità che va sia salvaguardata, e sia sostenuta con una prospettiva di rinascita sociale, che invece oggi sembra gli sia negata.

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