Francesco Inguanti: il segreto di questi anni sta nella fedeltà alle ragioni dell’origine

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Quando – circa un anno fa – mons. Michele Pennisi mi chiese di assumere la direzione di Giornotto non potevo certo immaginare che avrei avuto l’onore, oltre che il piacere, di festeggiare i venti anni dalla sua fondazione. È quasi superfluo ricordare, soprattutto alla presenza di tanti autorevoli esponenti dell’informazione, quanto siano lunghi venti anni, in una epoca in cui la velocità – anche dell’informazione – è diventata così frenetica.

Porsi la domanda sul come sia potuto accadere, è opportuno e in qualche modo doveroso. Più stimolante è però chiedersi come questa storia possa proseguire, soprattutto adesso in cui la vicenda della pandemia ha accelerato e acuito in tutti noi la dimensione della precarietà e della instabilità.

Quindi, come immaginare il futuro di Giornotto? Come pensare di proseguire una storia già così bella ed esaltante? Come Giornotto può continuare a rendere il servizio per cui è nato, in un futuro che soprattutto nell’immediato ci appare incerto e nebuloso? La risposta sta nel numero speciale che abbiamo predisposto per ricordare questo compleanno e può essere riassunto nella parola fedeltà. Il termine fedeltà mi ha sempre evocato e adesso più che mai non l’amicizia, il matrimonio, l’attaccamento ai colori sociali, ma la storia del popolo ebreo. Una storia intrisa dei più subdoli e cattivi tradimenti perpetrati dagli ebrei e dai loro successori, tra cui ci annoveriamo noi stessi, che sono stati sempre sconfitti, fino alla giornata odierna, dalla fedeltà di Dio.

Ma è necessario chiedersi allora: fedeltà a cosa? Nella storia che abbiamo alle spalle è la fedeltà alla promessa da Lui fatta. Ma nella storia che ciascuno di noi nel nostro piccolo possiamo e dobbiamo costruire è lo stesso? Ebbene sì!

Diciamolo con franchezza: oggi la fedeltà non è più una virtù. Non lo è nel matrimonio, divenuto un contratto a termine, magari benedetto sotto l’altare, non lo è in politica, in cui tutto e il contrario di tutto possono serenamente convivere senza alcuna contraddizione, non lo è nemmeno nei consumi dei beni quotidiani, in cui la traduzione del termine in quello più corretto di fidelizzazione non è più un obiettivo né per chi vende dentifrici né per chi vende automobili. “La fedeltà è una virtù da cui vogliamo essere esonerati, ma da cui difficilmente esoneriamo gli altri”. (Alphonse Karr.)

Ed allora perché e a cosa Giornotto può e deve essere fedele? Ho rivolto questa domanda a mons. Pennisi nel numero speciale di Giornotto che abbiamo predisposto, il quale ha detto che il nostro giornale deve essere “Uno strumento di diffusione e approfondimento di avvenimenti già accaduti, deve saper incontrare l’interesse, la curiosità del lettore. Quindi deve essere interessante e piacevole a partire dalla veste grafica e saper porgere contenuti”. In questa sintetica risposta c’è tutto: l’interesse e la curiosità dei destinatari, l’interesse e la piacevolezza di chi lo fa, la capacità di saper porgere tutto ciò. Non c’è nessun appello alla doverosità, agli impegni da onorare, alle regole da rispettare. C’è l’appello alla libertà: alla libertà di incontrare, di cercare, di confrontarsi, di rischiare. Una libertà capace di confrontarsi con tutto e con tutti, perché saldamente legata alla fedeltà, e non ai sentimenti, alle emozioni, alle impressioni, a tutto quello che oggi riempie le nostre giornate e purtroppo anche gran parte della comunicazione.

La grande scommessa per chi fa comunicazione oggi, per coloro ben più autorevoli di me che sono qui presenti e per tutti, è accettare la fatica di scrivere, che è un po’ come accettare la fatica del vivere. Avendo acconsentito con gli strumenti del web a tutti di esprimersi e avendo evitato a tutti la fatica di scrivere ci siamo accontentati di sostituire la storia con l’attualità e la scrittura con le fotografie, che mettiamo su tutti i canali che abbiamo a disposizione. Tutto ciò è reso possibile non dalla quantità e qualità degli strumenti disponibili, ma dalla moderna concezione della libertà che si è resa avulsa dalla fedeltà. Ernest Hemingway ha scritto: “Non c’è niente di speciale nella scrittura. Devi solo sederti davanti alla macchina da scrivere e metterti a sanguinare”. Senza evocare scenari che non ci sono consoni, occorre accettare, e Giornotto può e deve farlo, la sfida della fatica che produce giudizio e lascia un segno, magari piccolo, che un giorno, magari lontano, sarà possibile rinvenire.

Mons. Dolce nel ricordare gli inizi di Giornotto ha definito così l’intento con cui nacque la testata: “Creare comunione e rinnovare lo slancio missionario che spinga la Chiesa diocesana verso la meravigliosa avventura della Nuova Evangelizzazione”.

Giornotto può e deve rimanere fedele al luogo, al contesto e alla cultura che l’ha generato 20 anni fa. Solo così sarà capace di leggere il cambiamento in cui viviamo e magari saprà guardare un po’ oltre lo sguardo del suo lettore medio, capace appena di postare foto senza nemmeno aggiungere una didascalia di spiegazione. Giornotto non deve inseguire gli eventi, deve conoscerli e valorizzarli. Non deve inseguire lo scoop o il sensazionale, deve saper essere tra la gente e valorizzare il tessuto sociale ed umano che la contraddistingue. Un compito apparentemente semplice, se paragonato alla frenesia che contraddistingue il lavoro nelle redazioni dei quotidiani, ma molto delicato perché in una epoca di fake news, saper comunicare buone e belle notizie non è sempre apprezzato.

Mentre si può costruire un “mostro” con un Twitter, salvo poi a cancellarlo senza neppure chiedere scusa, parlare della santità della porta accanto, come ama dire papa Francesco non sempre è gradito. Ecco perché è fondamentale il rapporto col territorio che vuol dire col popolo cristiano che pur avvertendo l’esigenza di una comunicazione chiara nelle fonti e certa nel giudizio facilmente si fa trasportare nella deriva odierna in cui sembra che chi parla per ultimo possa avere la parola definitiva.

Va detto per completezza di discorso che molto di tutto ciò è stato possibile in quest’anno grazie alla decisione strategica di dotare Giornotto di una versione on line. Uno strumento agile, facile da gestire e in grado di tenere un po’ meglio la velocità del tempo che scorre.

Qualcuno mi ha chiesto i numeri della versione telematica. Non li conosco e possiamo non tenerne conto. In questo campo la concorrenza è sempre difficile da combattere quando non è sleale. Abbiamo però potuto dimostrare una cosa oggi più importante di sei mesi fa. Che non c’è virus che possa impedire il desiderio di cercare il positivo che accade e di comunicarlo a tutti. Chi vuole può controllare con grande facilità le interviste che abbiamo fatto e le personalità che abbiamo coinvolto.

Di una sola cosa voglio dare conto: delle interviste rivolte ad una quindicina di parroci siciliani sul come stavano (eravamo a marzo) vivendo il momento per molti drammatico “delle chiese chiuse e delle parrocchie vuote”. È emersa una vivacità della chiesa “della gente e che sta tra la gente” di cui noi per primi non avevamo cognizione. Erano i giorni in cui imperversava la polemica sulla opportunità di interrompere la celebrazione delle messe e l’amministrazione dei sacramenti. E mentre tutti eravamo preoccupati a prendere posizione pro o contro questo fenomeno mediatico, i parroci intervistati, nell’anonimato e nel silenzio, continuavano a educare il popolo che era stato affidato loro, convertendosi con non poca fatica al web, alla piattaforma zoom, a WhatsApp, pur di non far mancare in concreto la partecipazione alla vita ecclesiale. Questo è un esempio di ciò che può significare vivere la libertà come fedeltà a ciò che abbiamo incontrato e ci ha resi capaci di reggere anche l’urto di una situazione così pesante da far perdere la bussola a molti.

Vi è ora da rispondere all’ultima questione: perché è così facile fare analisi e così difficile trarne comportamenti conseguenziali? Torno per concludere lì da dove sono partito: dall’alleanza tra Dio e noi. Il popolo israelita è sempre stato una minoranza nel Medio Oriente e nel mondo. Aveva dalla sua solo una risorsa, molto più chiara ai suoi nemici che a lui stesso: la compagnia di Dio. Una compagnia che non ha mai risolto definitivamente i problemi agli uomini, ma che non li ha mai abbandonati. Spesso si è espressa con modalità diverse da quelle che lui si attendeva, addirittura violente (pensiamo alla Torre di Babele, al diluvio universale, ma positivamente anche alla liberazione dall’Egitto o da Babilonia).

Oggi Giornotto è come se dovesse riconfermare le promesse che si fanno il giorno del matrimonio, come molti tra noi hanno ripetuto quel giorno: esserti fedele sempre, nella buona e nella cattiva sorte…….

Tuttavia quest’impegno non può assolverlo da solo. Prendo in prestito le parole di Mauro Ungaro: “L’odierna circostanza consente non solo di ringraziare il Signore e la Chiesa di Monreale delle grazie ricevute anche attraverso questo strumento, ma di poter indicare la strada da perseguire forti dei risultati raggiunti”.

Ecco: in definitiva si tratta di riconoscere che abbiamo percorso, anche io seppur per un solo anno, una strada di Grazia e di invocarla a questo punto perché consenta a tutti, a me, a noi, a tutti i presenti, di tenere lo sguardo alzato su ciò che essa fa accadere tra noi e a riconoscerla con il suo nome: la compagnia di Dio fra gli uomini. E ciò vale anche per noi giornalisti.

 

 

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