Riportiamo il messaggio che l’Arcivescovo mons. Miche Pennisi ha rivolto alla Cisl siciliana in occasione del Natale 2020.
Ringrazio il segretario regionale, il gruppo dirigente e i membri del Consiglio regionale che in questo momento siete di fronte ad un computer o ad un cellulare per l’opportunità che mi offrite di rivolgere a voi e a tutte le vostre famiglie gli auguri per questo Natale così diverso che ci apprestiamo a celebrare.
Anche per me è stato un Natale particolare con il mondo del lavoro. Quest’anno non ho potuto celebrare la S. Messa in alcune aziende come facevo nella zona industriale di Gela e come ho fatto nella zona industriale di Carini. Ricordo che in alcune occasioni di particolare difficoltà i sindacati confederali hanno chiesto l’assemblea sindacale per consentirmi di poter incontrare i lavoratori. Ho voluto però quest’anno essere presente con i lavoratori della sanità: medici, infermieri, amministrativi, operatori sanitari che ho incontrato all’aperto nell’ospedale Covid di Partinico e nell’ospedale Ingrassia di Palermo. Oltre il coronavirus si sta diffondendo il virus della solitudine e dell’indifferenza che tutti dobbiamo sconfiggere.
Questo Natale è il Natale della pandemia, della crisi sanitaria, della crisi economica e sociale che ha colpito ciecamente il mondo intero, che ha avuto come conseguenze la perdita di posti di lavoro, la mancanza di speranza, il ripiegamento individualistico, l’incertezza per il futuro e la diffidenza del prossimo.
La pandemia facendoci scoprire le nostre false sicurezze e la nostra incapacità di vivere insieme, tuttavia ci aiuta a comprendere che abbiamo bisogno gli uni degli altri e di Qualcuno che dia un senso profondo alla nostra vita.
Tutti ci ripetiamo da tempo che esso non solo sarà diverso e irripetibile, ma anche che lo ricorderemo, almeno noi più adulti, per il resto dei nostri giorni.
Certo lo ricorderemo a lungo, ma per che cosa? Per ciò cui abbiamo dovuto rinunziare? O piuttosto per quello che ci è stato concesso, malgrado le difficoltà che dovremo accettare? Stabilire da quale angolazione vedere, vivere e affrontare la festa imminente è decisivo per la nostra vita e per la vita di tutti.
Si suole ripetere nel giudicare gli eventi che la differenza è tra chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Ma il Natale non può essere giudicato e vissuto a seconda del temperamento. Non ci si può dividere a Natale tra ottimisti e pessimisti.
Papa Francesco domenica scorsa ha detto all’Angelus: “In questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare, facciamo qualcosa per chi ha di meno: non l’ennesimo regalo per noi e per i nostri amici, ma per un bisognoso a cui nessuno pensa”!
Natale è fare memoria di un fatto accaduto dal quale iniziamo a contare gli anni, di cui certo ricordiamo le conseguenze prodotte nell’umanità, ma che si perpetua fino ad oggi. Infatti dice il Vangelo di Giovanni che Gesù “venne ad abitare tra noi”, cioè non ha fatto una rapida apparizione, ma ha deciso di condividere la nostra vita quotidiana Il Natale, non è un evento del passato, ma un mistero che si è reso presente nella storia e che continua; è l’annunzio della nascita di un uomo nuovo, che è venuto a ricostruire un mondo nuovo, dove c’è spazio per tutto ciò che è autenticamente umano.
Il Natale nel quale si manifesta l’amore gratuito di Dio per l’umanità è una grande energia liberatrice in una società mercantile, dominata dal dare per ricevere in cambio. Nel mistero del Natale riconosciamo la nostra dignità di uomini e di tutti gli autentici valori umani: la famiglia, il lavoro, la ricerca della libertà, della giustizia e della pace.
La società ha bisogno di verità e di amore, che ci vengono incontro in Gesù e ci indicano un quadro di doveri entro i quali inserire i diritti.
Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro che per essere tutelato esige coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.
Il mondo del lavoro, i lavoratori tutti, state affrontando ormai da quasi un anno le difficoltà e le conseguenze di una pandemia cui nessuno era preparato e che sta producendo in alcuni casi e in alcuni settori danni irreparabili. Il Governo con le sue misure emergenziali e tutti i cittadini si stanno adoperando per rendere meno gravose le difficoltà economiche e sociali che coinvolgono tutti.
I lavoratori possono trovare in un Grande Santo non un taumaturgo che risolve ogni male, ma un uomo, uno come noi cui guardare e dalla cui vita imparare, come affrontare alcune grandi difficoltà. Mi riferisco a san Giuseppe che il Papa con la sua recentissima Lettera apostolica “Paris Corde” ha riportato all’attenzione di tutti per il ruolo e l’atteggiamento avuto proprio nell’accudire quel Gesù Bambino che venereremo nella Notte Santa del Natale.
In questa lettera, che vi invito a leggere, papa Francesco definisce san Giuseppe in 7 modi: “Padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre del coraggio creativo, padre lavoratore, padre nell’ombra”. Ciascuno di voi che oltre che lavoratore è marito e padre potrà trovare motivi molto significativi per riflettere sulla propria vita.
Mi soffermo brevemente solo sul penultimo appellativo, quello di padre lavoratore. Il Papa, dopo aver affermato che “Il lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale e la disoccupazione raggiunge talora livelli impressionanti”, scrive che “è necessario, con rinnovata consapevolezza, comprendere il significato del lavoro che dà dignità e di cui il nostro santo è esemplare patrono”.
Il lavoro cambia velocemente. Chi meglio di voi può affermarlo? Eppure non sempre se ne riescono a cogliere tutte le implicazioni.
Anche l’emergenza Covid ne ha mutato molte connotazioni, una fra tutte: il lavoro da casa, che per anni è stato un oggetto misterioso e che in pochi mesi ha coinvolto, coinvolge e coinvolgerà gran parte della popolazione, a partire dagli studenti che ne sono i maggiori fruitori, anche se non tutti hanno i mezzi adeguati per seguirlo.
Le tradizionali categorie di giudizio non sono più sufficienti. Al sindacato spetta la prima e più ardua responsabilità nella nuova comprensione. Ma a partire da cosa avverrà la nuova riformulazione? Dal profitto? Dal salario? Dal vantaggio personale? Dal bene comune?
Il Papa prosegue così: “Il lavoro diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione; il lavoro diventa occasione di realizzazione non solo per sé stessi, ma soprattutto per quel nucleo originario della società che è la famiglia.”
Poco avanti poi offre un prezioso suggerimento: “La crisi del nostro tempo, che è crisi economica, sociale, culturale e spirituale, può rappresentare per tutti un appello a riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro per dare origine a una nuova “normalità”, in cui nessuno sia escluso”.
Tuttavia il Papa aggiunge la parola “nuova”, per ricordare che profondi cambiamenti sono già occorsi nella nostra vita sociale e che quindi occorre pensare un modo nuovo per uscire dall’emergenza. Non a caso il punto più corposo affrontato dal Pontefice è il n. 5 definito dal titolo: “Padre del coraggio creativo”. San Giuseppe fu un “creativo” ante litteram: trovò un luogo diverso da quello preventivato per far partorire sua moglie, decise di emigrare in Egitto per sfuggire alla vendetta di Erode, insegnò un mestiere a Gesù, prima della sua predicazione pubblica. Certo sembrerebbe che tutto fosse solo una conseguenza dei suoi sogni. Ma sappiamo bene che Dio interviene nella vita di tutti noi, ma che sta a noi poi saper tradurre i suoi suggerimenti in scelte concrete. Tutti dobbiamo fare i conti con la libertà, anche san Giuseppe.
Papa Francesco ricostruisce la figura di Giuseppe, fidanzato, marito e padre come uno di noi con i suoi dubbi e le sue incertezze. Ma Giuseppe è un uomo che vive di speranza, quella di cui tutti abbiamo di bisogno soprattutto in questo Natale, in cui qualcuno ha pure azzardato l’ipotesi che debba essere saltato, a causa del virus.
Gesù Bambino nascerà per tutti anche quest’anno, anche se a mezzanotte dovremo pregarlo in casa con la nostra famiglia più intima. Un’occasione migliore per vivere la famiglia e per pregarlo insieme. Sarà una nuova e più importante sfida che le parole del Papa esprimono bene: “La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità”.
Da tempo diciamo che la pandemia ci cambierà. È giunto il momento di vedere come già ci ha cambiato e cominciare a costruire il futuro cambiamento a partire dal rivedere le nostre priorità.
L’avvenimento della nascita di Gesù è il fondamento della nostra speranza. Anche noi se abbiamo la pazienza di guardarci intorno, possiamo scorgere già ora qualche segno di questa speranza realizzata. Dovunque si lavora per il bene comune con onestà e impegno, dovunque ci si apre all’attenzione verso chi è nel bisogno, dovunque si ha il coraggio della verità e della giustizia, dovunque si cerca il dialogo e non lo scontro, l’unità e non la divisione, dovunque si vive in pace lì troviamo un segno di speranza.
Il Natale fonda quella che papa Francesco chiama “la mistica della fraternità”, perché ci dà la certezza e la gioia che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli dello stesso Padre, fratelli e sorelle fra di noi, perché fratelli e sorelle di quel Bambino, Figlio di Dio e della Vergine Maria, che ci genera ad una novità di vita e ci apre alla speranza.
Il mio augurio per il prossimo Natale a ciascuno di Voi e alle vostre famiglie è quello di vivere da figli dell’unico Padre e da fratelli e sorelle con tutti gli uomini e le donne e che ognuno accolga Gesù Cristo nel suo cuore cambiando la propria vita e lo riconosca presente soprattutto nei piccoli e nei poveri , nei sofferenti, per essere costruttori di un mondo nuovo nel quale regni la fraternità, l’amicizia, la solidarietà e la pace.