In viaggio con Fratel Biagio

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di Francesco Inguanti

Alcuni giorni fa ho accompagnato Fratel Biagio Conte a Godrano dove gli è stata conferita la cittadinanza onoraria. Con l’occasione ho trascorso gran parte della giornata, soprattutto molte ore in macchina, solo con lui. Provo a descriverne emozioni e sensazioni.

Per comprendere meglio occorre prima fare alcune precisazioni.

PRIMO Biagio ha dismesso da tempo l’uso di alcuni strumenti moderni di cui noi non potremmo fare a meno: tra questi l’orologio. In altri termini: Biagio non conosce una scansione del tempo che non sia quella solare. La giornata è per lui un tutto unicum dall’alba al tramonto. Quindi chi decide di trascorrere del tempo con lui non deve porre limiti di tempo. Tutto quanto accade, soprattutto gli incontri con le persone, è accolto senza alcuna restrizione temporale. Insomma: mai prendere impegni quando si è con lui.

SECONDO Biagio non ha la dimensione del viaggio, ma del pellegrinaggio. Per lui ogni spostamento, anche quello quotidiano tra una sede e l’altra della Missione è un pellegrinaggio; quindi non è mai uno spazio anonimo tra una cosa e l’altra, ma è sempre la stessa cosa che assume forme diverse. E questa cosa è l’incontro con gli altri e la testimonianza della sua fede.

TERZO Gli elementi costitutivi del suo modo di fare pellegrinaggio sono: la preghiera, le soste sui luoghi di preghiera lungo la strada, le soste con quanti si incontrano lungo il cammino.

L’appuntamento a Godrano è fissato alle ore 11 in Municipio. L’appuntamento con fratel Biagio è fissato alle ore 7 in Missione per la partecipazione alla Santa Messa quotidiana celebrata da don Pino Vitrano. Anche la Messa non ha mai limiti di tempo. Essa oltre ad una occasione di ritrovo tra i partecipanti è un’occasione privilegiata per incontrare il Signore prima dell’inizio della giornata, in un contesto di silenzio e raccoglimento che le nostre chiese non sono più in grado di offrire. Ecco perché non può avere limiti temporali. Don Pino non fa un’omelia di stampo tradizionale ma stimola tutti ad accogliere le provocazioni che giungono dalle Letture della Messa. Per far questo talvolta impiega 5 minuti talvolta 20. Ma non è mai motivo di fastidio. Coloro che intendono utilizzare questa circostanza per parlare con l’uno o con l’altro attendono pazienti. Presto o tardi potranno rivolgere le loro richieste.

Giunti in macchina e lasciata Palermo inizia la recita del Rosario. Ogni posta è rigorosamente dedicata alla preghiera per alcune persone o circostanze. Si inizia con le persone che incontreremo a Godrano, gli operai e i dirigenti dell’Ispettorato Forestale, il Sindaco, il Presidente del Consiglio Comunale, gli Assessori, i componenti il consiglio e poi via via l’attenzione è rivolta agli amministratori dei paesi che incontreremo lungo la strada, e poi quelli vicino Palermo, poi della Sicilia, poi dell’Italia e del mondo intero. Si prega per tutti coloro che hanno responsabilità nella gestione della cosa pubblica, politici e non, nessuno viene trascurato, per tutti c’è lo sguardo benevolo di Dio.

Le preghiere del secondo Mistero Gaudioso (infatti è sabato) sono per i bisogni della Chiesa e per quanti operano al suo interno. Anche in questo caso si parte dai più vicini e si giunge alla Chiesa Universale e al Papa.

Intanto attraversiamo il primo paese. Chiede di rallentare la marcia perché ci sono persone da salutare, magari senza scendere dall’auto, le quali però desiderano una benedizione e accolgono con piacere la proposta della recita di una Ave Maria sulla pubblica via.

Si torna a percorrere tortuose strade statali e provinciali. Si riprende la recita. Adesso si prega per le persone che conosciamo, parenti e amici. L’elenco comincia a farsi lungo. Biagio indica il nome dei tanti che più di recente sono morti in Missione, ma poi c’è spazio per quanti ci hanno lasciato, ma non bisogna aggiungere quelli morti per Covid. A questi è riservato il quarto Mistero e in questo casa Biagio mostra palesi segni di commozione.

Tra una Ave Maria e l’altra ci si ferma lungo la strada ad ogni icona, altarino, immagine votiva che si incontra. Biagio le conosce tutte. All’ingresso di Marineo ci attende San Ciro. All’uscita c’è l’altarino di Santa Barbara. Non mancano poi i santi della nostra Tradizione religiosa e tra questi san Giuseppe batte tutti.

Saremmo giunti al quinto Mistero ma intanto siamo giunti a destinazione. Tempo di percorrenza dei circa 40 Km? Pe Google 50 minuti, per noi oltre due ore. Ovviamente nessuna fermata era prevista in bar e locali di ristoro, ma solo per incontrare persone.

Bastano queste due ore o forse anche meno per comprendere cosa sia per Biagio un viaggio, cioè un pellegrinaggio. È uno spazio di tempo e di strada da utilizzare al meglio per la preghiera e per il prossimo. Non ci sono tappe o scadenze predeterminate. “Basta solo assecondare mi spiega – ciò che il Signore ha in animo per noi in quel giorno. Nessuna programmazione e massima disponibilità”.

Anche la riunione del Consiglio Comunale inizia con una preghiera. Nessuno ha da obiettare. Tutti si uniscono con evidente partecipazione.

Dopo la consegna della pergamena e della chiave simbolica della città prima tappa la Cappella “Beato Giuseppe Puglisi” martire che è stata di recente allestita dietro la Chiesa madre e in prossimità del Museo a lui dedicato. Biagio si commuove e pur non disdegnando le foto di rito, invita tutti a unirsi nella recita del Padre Nostro. Il clima è sempre di raccoglimento, mai di distrazione.

Prima di mezzogiorno si raggiunge il casolare ove ha trascorso la sua quarantena di ritorno dal nord Europa, Sta diventando luogo di accoglienza per pellegrini e ospiti in cerca di raccoglimento. Da lontano si sente il rintocco delle campane. È Mezzogiorno. Fratel Biagio e il parroco invitano tutti alla recita dell’ora Media e dell’Angelus. In un attimo tutti si raccolgono attorno a loro. Il silenzio del luogo, la mancanza di vento aiutano tutti al raccoglimento. Biagio invitata tutti a ringraziare per il dono della natura e dei suoi abitanti (piante, animali e uomini) e non perde l’occasione per invitare tutti ad un suo uso più rispettoso.

Un’ora dopo siamo pronti per riprendere la marcia. Sul luogo siamo rimasti io, lui e il guardiano. Tutti hanno potuto parlare con Biagio. Per tutti c’è stata una parola di affetto e di conforto. Ripassiamo da Godrano per salutare quanti non sono potuti venire in Municipio, causa Covid. All’uscita del paese inizia la recita delle litanie, mentre il cielo si fa minaccioso e annuncia la pioggia. Ma la pioggia non ritarda il cammino di Biagio quando è a piedi, figuriamoci se è in macchina. A Marineo ci attendono altre persone e altri incontri, in particolare una ragazza disabile che desidera incontrare Biagio da tempo.

Ci rimettiamo in macchina e c’è tempo per qualche domanda. Biagio parla del suo pellegrinare per le strade del Nord Europa, un’esperienza molto diversa da quella fatta per le strade del nostro Paese. “In tutte le nazioni in cui sono stato – dice con tristezza – sono evidenti e palesi due fenomeni molto legati. Un senso di tristezza e mancanza di speranza in quelle popolazioni, soprattutto nelle giovani generazioni e l’assenza di ogni riferimento religioso e alla fede cristiana”: Descrive con rammarico le chiese che ha trovato chiuse lungo il suo percorso, la scarsa accoglienza che ha dovuto registrare, che talvolta lo ha costretto a dormire all’aperto, “quasi come la Madonna e San Giuseppe”, aggiunge. Tra una giaculatoria e l’altra narra piccoli e grandi fatti da cui emerge la sua sofferenza nel constatare come la società “cerchi o è già riuscita a cancellare Dio e suo figlio Gesù e anche la Sua memoria”.

Gli chiedo quali sono a suo giudizio le difficoltà materiali più gravi della nostra società. “Innanzitutto è la mancanza di pace – esordisce -. Attenzione! La mancanza di conflitti tradizionali non vuol dire pace. Non c’è pace nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nei luoghi del divertimento. Di fronte ai problemi della vita quotidiana la gente non trova né un luogo né talvolta qualcuno che la ascolti e che possa dirle una parola di speranza. La violenza che c’è e che improvvisamente esplode nasce da questa mancanza di pace”.

“E, poi – aggiungo -?” “Il poco rispetto per la natura e per il creato – prosegue -. Non si può continuare ad andare avanti all’infinito senza renderci tutti conto che le risorse del pianeta non sono inesauribili e che occorre che gli Stati ma anche i cittadini si diano una regolata. Penso spesso al Papa che pur dicendo cose sacrosante su questo tema non viene ascoltato. Gli danno ragione, ma le scelte che fanno non sono conseguenziali”.

 

Gli chiedo di tornare sul motivo della sua insistenza nel continuare il pellegrinaggio europeo, soprattutto tenendo conto dei problemi che la Missione da lui fondata vive in questo momento, anche a causa del Covid. “La gente persa – risponde con tono serafico –  che io faccio questi viaggi, che sono però un unico pellegrinaggio, per non stare in Missione. Che sia una iniziativa in contrapposizione ad essa. Ma non è così. Io e don Pino, ad esempio, siamo in perfetta unità, anche quando io sono distante migliaia di km perché affermiamo la stessa cosa”.

Mi mostro perplesso e chiedo maggiore chiarezza. “La nostra unità non è nel fare, ma nell’essere, è all’origine del nostro agire, non nell’agire. Ci muove lo stesso desiderio di annunciare che Gesù Cristo è ciò che ci muove e Lui ci muove per annunciare il Vangelo, cioè la Buona Notizia. La Missione è nata quasi trent’anni fa da ciò che il Signore mi ha messo nel cuore. Io non ho programmato nulla ho solo seguito i passi che man mano mi ha indicato”

“E Don Pino, allora, – chiedo -”? “Anche per lui è la stessa cosa – mi spiega -. È giunto tra noi in modo del tutto casuale e vi è rimasto perché ha seguito la chiamata del Signore che gli indicava di rimanere. Non aveva studiato, non si era fatto prete, non era divenuto Salesiano col progetto di mettere su un’opera sociale. I suoi progetti erano altri, ma ha capito quanto fosse importante la sequela a Lui nella modalità da Lui indicata. Lo stesso è per quanti in questi anni hanno deciso di rimanere in Missione. Ormai sono più di una ventina. Tutti i progetti dei singoli sono divenuti pietre per costruire la Casa comune che è la Missione”.

Più volte gli ho sentito parlare di Casa comune. È l’occasione per chiedergli un chiarimento. Biagio risponde subito. “La Casa comune, cioè la Missione, non è fatta dalle mura, dai letti, dai pasti, dall’accoglienza, dalla cura che offriamo a tutti. La Casa comune è il pezzo di Chiesa che essa rappresenta. È come per una parrocchia. Una parrocchia prima di essere una struttura e un luogo di accoglienza è un pezzo di Chiesa, quella fondata da Gesù con gli Apostoli. Essa esiste per annunciare la Buona Novella e per fare questo è giusto aiutare i poveri. Così è nata la Missione. Ma io in giro per le strade del Mondo annuncio lo stesso Gesù Cristo che don Pino e gli altri annunciano dando da mangiare, organizzando i lavori e curando chi è malato”.

Prima di giungere a Palermo c’è spazio per chiedere notizie della sua famiglia, i suoi anziani genitori, le sue sorelle e i nipoti, alcuni dei quali vivono lontano da Palermo. Ne parla con trasporto. “Vorrei fare di più per loro – conclude -. Ma spesso mi devo fermare alla preghiera. Ma la preghiera può più di tante cose, – mi dice con tono risoluto -. Ricordalo”.

Siamo giunti in Missione. È quasi buio, come quando sono giunto più di 10 ore prima. Biagio è atteso per la preghiera comune in chiesa: Vespri e Rosario. Io da tante piccole e gradi incombenze che per 10 ore sono riuscito a dimenticare. Mi affretto a rientrare “in campo”. La mia partita si gioca lì. Ma Biagio ha ragione: se si è uniti nello Spirito di Dio, cioè all’origine, non c’è più divisione.

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