di Antonio Spadaro, SJ
Mi interrogo spesso su che cosa sia oggi una «buona notizia». Noi spesso immaginiamo che le «buone notizie» siano le notizie di ottimismo, gli happy end. E in un certo senso lo sono. Ma non basta. La vita umana è fatta di eventi lieti ed eventi più difficili da vivere. Se la stampa spesso ci fa meditare più sulle cattive notizie, la soluzione non è semplicemente quella di far meditare sulle buone notizie, sul bene. È importante, importantissimo. Ma non basta. A volte, anzi, le tante «buone» notizie della vita quotidiana, lo sappiamo tutti per esperienza, emergono da una complessità di difficile discernimento.
Per il credente la Buona Notizia non è un’informazione, ma è il Signore. La notizia non è un contenuto informativo, ma una «persona». La fede deve abilitare il cristiano che è giornalista a considerare questa visione rivoluzionaria del modo di intendere comune. Per il cristiano la «notizia» non è innanzitutto un contenuto, ma la persona che la incarna. Il Vangelo, cioè la Buona Notizia, per il credente non è solamente un libretto ma è il Cristo stesso che salva la mia vita.
Detto questo, in realtà comprendiamo quanto oggi sia attuale questa visione. Al tempo dei social networks non c’è informazione che non sia condivisione o che non sia aperta alla condivisione. Il tempo del broadcasting, a mio avviso, cioè quello della trasmissione pura e semplice di un messaggio, sta tramontando definitivamente. La notizia passa se è condivisa tra persone (facebook, twitter…). Pensiamo al modo in cui i giovani oggi assumono (nel bene e nel male) le informazioni. Se l’informazione passa per condivisione allora passa anche portandosi dentro e dietro una parte di coloro che la condividono, la loro esperienza, il loro vissuto.
Insomma: oggi la dinamica dell’informazione ci fa capire come il giornalismo non sia affatto in crisi ma – in forme ancora difficile da comprendere e valutare bene – sta diventando una dimensione antropologica, un elemento della vita di tutti. Accanto al giornalismo come arte e come mestiere si sta sviluppando il giornalismo come parte della nostra umanità, una dimensione esistenziale. La notizia non può più essere informazione ma è e deve essere comunicazione, non solo contenuto, ma «testimonianza».
In questo San Francesco di Sales ci aiuta a capire e il suo messaggio è di straordinaria attualità per il giornalismo moderno. Perché nel 1923 fu proclamato da Papa Pio XI patrono della stampa cattolica, dei giornalisti, degli scrittori, oltre che dei sordomuti? E sottolineo di passaggio questo legame tra i giornalisti e i sordomuti che non è da sottovalutare.
Sostanzialmente perché si accorse che le persone evitavano le sue prediche e dunque, per opporsi all’eresia calvinista, decise di confutare i loro errori con fogli volanti, da lui scritti fra una predica e l’altra e disseminati in tante copie, che, passando di mano in mano, dovevano finire con raggiungere anche i calvinisti. Francesco di Sales non «dava notizie» ma comunicava sé stesso, la sua fede, le cose nelle quali credeva.
Ma accanto a questo volantinaggio è da considerare la capacità di scrivere lettere, pare 30.000, delle quali ce ne sono rimaste solo 2.000. E la lettera è appunto una comunicazione che coinvolge pienamente chi scrive. Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 45a Giornata Mondiale delle Comunicazioni aveva scritto che «quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo sé stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali».
Oggi le tecnologie dell’informazione, contribuendo a creare una rete di connessioni, spingono gli uomini a farsi «testimoni» dei valori sui quali fondano la propria esistenza.
Nel caso del brodcasting la credibilità è tutta centrata sull’autorevolezza e l’attendibilità di chi trasmette, cioè la testata. Nello sharing questo concetto è più complesso perché l’informazione è tale solo se condivisa all’interno di rapporti «credibili» e autentici. Si dovrebbe meglio parlare di «affidabilità» che è un concetto molto più relazionale e partecipativo. Non solo: nella condivisione è la relazione stessa ad essere «informazione» trasmessa, appunto. Almeno parte della valutazione della sua credibilità è affidata alle relazioni.
Il modello che abbiamo davanti agli occhi, quello di Francesco di Sales, dunque è quello di un giornalismo che comunica passione e ha un intento di coinvolgimento, partecipazione, formazione. La stessa attenzione alla «verità» non è una semplice e fredda attenzione alla «oggettività» o alla «neutralità», ma alla comprensione del valore delle cose.
Il giornalismo è dunque una forma di testimonianza capace di interrogare chi scrive e chi legge, chi trasmette e chi riceve, sulla visione delle cose e sui significati, sui valori, sulla vita pubblica, anche sociale e politica. La Civiltà Cattolica cerca di vivere questa vocazione giornalistica dal 1850. In particolare, sin dall’editoriale del primo fascicolo del 1850 la rivista della quale sono direttore dal 2011 ha interpretato così la propria «cattolicità»: «Una Civiltà cattolica non sarebbe cattolica, cioè universale, se non potesse comporsi con qualunque forma di cosa pubblica». C’è da augurare la stessa cosa a tutti i giornalisti che sono cattolici: che la vostra cattolicità si esprima anche come desiderio di universalità, come desiderio di comporsi con qualunque forma di cosa pubblica.