Sposarsi in tempo di Coronavirus

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di Francesco Inguanti

Quando un anno fa iniziò il lockdown molti erano convinti che la costrizione a rimanere a casa per molte coppie avrebbe prodotto un incremento della natalità.
Nove mesi dopo, cioè a Natale, invece si è dovuto registrare il fenomeno inverso: un incremento delle separazioni e dei divorzi.
Secondo l’Associazione nazionale divorzisti in Italia nel 2020 c’è stato un aumento delle separazioni rispetto al 2019 del 60%. Di queste il 40% sono per infedeltà coniugale, anche virtuale, il 30% per violenza familiare e il 30% altre cause. Altri dati per regioni e città sono facilmente reperibili sul web.
Le cause del fenomeno possono essere molteplici e non tutte riconducibile al virus, ma rimane il dato numerico e l’ampia distribuzione in tante nazioni del pianeta, elementi che portano a ritenere che la convivenza forzata ha prodotto più conflitti che benefici. Quanto poi al fenomeno delle violenze domestiche basta scorrere i notiziari di radio e tv per non ammettere margini di interpretazioni. Insomma il lockdown ha prodotto danni nel tessuto sociale e in particolare nella famiglia che ha mostrato elementi di fragilità che prima venivano nascosti da altri fenomeni
Il calo delle nascite conseguente a tutto ciò è stato analizzato dal “Primo rapporto del Gruppo di esperti “Demografia e Covid-19” intitolato L’impatto della pandemia di covi-19 su natalità e condizione delle nuove generazioni”. Difficile in questa sede sintetizzare la ricchissima sequenza di dati ivi presenti che fanno riferimento sia all’Italia che all’Europa. Emerge un quadro abbastanza chiaro di un Paese che di fronte alle difficoltà e alle paure riduce ulteriormente la voglia di mettere al mondo figli, con prospettive sugli anni futuri assolutamente preoccupanti.
A questo fenomeno se ne è aggiunto un altro forse meno visibile ma molto significativo: la diminuzione dei matrimoni religiosi. In un recente convegno svoltosi a metà gennaio, dal titolo «Incremento demografico e sviluppo economico (effetto Covid sulla natalità)», il professor Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, ha diffuso alcuni dati provvisori, sullo stato di salute dell’istituto del matrimonio nella nostra nazione. Tra gennaio e luglio 2020 si sono celebrati in Italia 34.059 matrimoni. Nello stesso periodo del 2019 i matrimoni furono 101.461. La causa è certamente dovuta alla pandemia, anche se non bisogna ignorare che il calo è stato costante negli anni ultimi anni. Ad esempio nel 2018 i matrimoni furono 107.990.
Un altro dato merita particolare attenzione: tra gennaio e luglio 2020 i matrimoni religiosi sono stati 4.141. Nello stesso periodo dell’anno precedente furono 47.025. A fronte di un calo generalizzato dei matrimoni, va detto però che il calo ha riguardato maggiormente quelli religiosi rispetto ai quelli civili. Infatti quei 4.141 matrimoni religiosi corrispondono al 12% del totale. Nel 2019 i matrimoni religiosi furono il 46,5%. Dunque calano sia i matrimoni civili che quelli religiosi, ma in modo assai più forte questi ultimi.
Fin qui il compito dei demografi. Ai sociologi l’interpretazione. Una domanda però sorge spontanea: forse l’impossibilità in questi mesi, di far seguire alla cerimonia l’immancabile pranzo con centinaia di invitati ha inciso maggiormente sui matrimoni religiosi che su quelli civili? Non vi è dubbio, infatti, che alla cerimonia fatta in Chiesa si associa di più un certo fasto nel dopo cerimonia, piuttosto che a quella fatta in Municipio, che per altri motivi è sempre più sobria e essenziale.
Dunque, anche se le norme anti-covid avrebbero consentito la celebrazione in una Chiesa sufficientemente grande e con il rispetto del distanziamento, non potendo celebrare il matrimonio secondo i propri desideri, la coppia ha rinunciato anche al resto, posponendo la data del matrimonio.
Questo quadro certo poco esaltante dovrebbe aiutare ad una più profonda riflessione le coppie che, anche se in diminuzione, continuano a chiedere il “Matrimonio in Chiesa”. Viene da chiedere: quale grado di consapevolezza hanno queste persone del rito che intendono compiere? È sufficiente la preparazione che la Chiesa chiede loro nei mesi precedenti? Sarebbe forse opportuno dissuadere quanti mostrano un interesse assolutamente basso e superficiale? E poi: dopo il matrimonio che ne è degli sposi “novelli” come si chiamavano un tempo? Chi li accompagna nel percorso successivo?

Abbiamo chiesto a due sposi che hanno celebrato il loro matrimonio “in Chiesa”, appena tre mesi fa un giudizio su questa decisione “contro corrente”.


Gaetano e Flavia si erano preparati per tempo e secondo i tradizionali punti fermi: la Chiesa, gli invitati, il pranzo in un locale sul mare. “Avevamo stabilito la data di aprile 2020 un anno prima, – ci dicono – ma a marzo ci siamo resi conto che andava annullata. Abbiamo bloccato tutto, anche se inviti, bomboniere e altro era già stampato, in attesa di tempi migliori”.
“A fine giugno abbiamo ritenuto – prosegue Gaetano – che il peggio fosse passato ed abbiamo scelto la data di fine di ottobre, certi che il miglioramento delle condizioni avrebbero consentito un regolare svolgimento”.
Prosegue Flavia: “A fine settembre abbiamo capito che o spostavamo ancora una volta la data, non so più a quando, oppure avremmo fatto un matrimonio diverso da quello che avevamo sognato, senza pranzi e senza invitati”.
“La decisone è stata sofferta e complessa, – riprende Gaetano – ma abbiamo fatto prevalere il nostro desiderio di sposarci piuttosto che inseguire un sogno che rischiava di non realizzarsi. Abbiamo rischiato. Abbiamo telefonato a tutti invitando molti a non venire e a unirsi a noi quel giorno spiritualmente, piuttosto che fisicamente”.
“Il rito del matrimonio è stato bellissimo – conclude Flavia -. Nel rispetto di tutte le norme sono venuti quanti ne poteva contenere la chiesa. Altri ci hanno attesa all’uscita. Tutti, regolarmente forniti di mascherina, erano eleganti come per un qualunque matrimonio. Abbiamo dato le bomboniere all’uscita e abbiamo fatto un brindisi nel campo sportivo della parrocchia. Ci siamo commossi tutti. Nessuno pensava che potesse essere così bello. L’essenziale era stato salvaguardato e il resto era stato messo in secondo piano”.
Chiediamo alla fine se lo rifarebbero. Entrambi rispondono all’unisono: “Lo rifaremmo e lo consigliamo di fare. Solo così abbiamo capito cosa è essenziale e cosa è superfluo nel matrimonio. Quello che non abbiamo potuto fare quel giorno potremo farlo in seguito. Ma se non lo avessimo fatto quel giorno lo avremmo perso definitivamente”.
Flavia vuole aggiungere un’ultima cosa: “La prova della bontà della scelta l’ho avuta il giorno dopo. Ho ricevuto una quantità incredibile di messaggini, soprattutto di tanti amici e amiche che avevano nutrito dubbi sulla nostra decisione, che dicevano che era stato il più bel matrimonio cui avevano partecipato”.

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