Per educare i giovani ci vogliono adulti credibili e affascinanti

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L’emergenza educativa è ormai da tempo una emergenza con cui tutti dobbiamo confrontarci. Ne abbiamo parlato con il professore Andrea Sollena

di Francesco Inguanti

Ormai da parecchi anni si parla di “emergenza educativa” e più recentemente, il Papa lo ha detto in modo esplicito, di “alleanza educativa”. Proviamo innanzitutto a definite i termini della questione.
È un dato oggettivo che alla crisi sanitaria e alla crisi economica si sia aggiunta una crisi ancora maggiore che coinvolge l’ambito educativo. Siamo entrati in quella che si chiama “emergenza educativa” almeno da dieci anni. Evidentemente c’è uno scollamento tra le generazioni, quindi solo là dove le diverse agenzie educative (scuola, famiglia, chiesa) collaborano in un dialogo a favore delle nuove generazioni, l’educazione può dare i suoi frutti. Ma, quando invece capita che la scuola va in una direzione e la famiglia in un’altra e il linguaggio della Chiesa non venga capito, il giovane per lo meno resta disorientato aggrappandosi a chi riesce a proporre un modello credibile e comunque affascinante per lui, da qualunque parte provenga.

Ma il problema del salto generazionale c’è sempre stato. Perché oggi è così complicato e difficile da affrontare?
C’è innanzitutto una diffusione pervasiva della tecnologia, con cui le generazioni precedenti non hanno dovuto confrontarsi, una pervasività che crea una divaricazione maggiore che in passato. C’è un lessico giovanile che connota gli adulti con il termine boomer [1] con cui si indica la distanza che separa oggi le generazioni a causa della tecnologia, soprattutto informatica.

Ma la causa è solo la tecnologia?

No, la questione di fondo si può racchiudere in una domanda: ma noi adulti quale modello educativo pensiamo di comunicare loro? In altri termini: siamo adulti o forse siamo ancora adolescenti oppure stiamo vivendo ancora da adulti una fase adolescenziale? Manca una riflessione seria sulla adultità degli adulti di oggi. Sul fatto che in tante circostanze per le ragioni più svariate colui che si propone come adulto è un adolescente invecchiato che, non avendo raggiunto in sé stesso una pienezza relazionale e affettiva adeguata, non ha credibilità nei confronti delle nuove generazioni, tanto che queste spesso raggiungono punti di adultità che certamente superano quelle degli adulti anagrafici.

Il professore Luca Luigi Ceriani nel suo libro Figli, rischi & villaggio (globale) racconta di bambini che “tiranneggiano, che decidono il clima familiare a seconda del loro altalenante umore”. E stesso tempo, “assistiamo alla continua perdita di autorità di giovani genitori che sono diventati vittime di bambini egoisti, trasformatisi per l’occasione, in giganti egoisti”. Come rifondare, ricostruire, rimotivare la famiglia perché non sia un luogo di rifugio, ma un luogo di apertura al mondo?

Occorre ristabilire la linearità delle relazioni familiari, distinguendo bene quelle paritarie (tra coniugi e tra fratelli) da quelle non paritarie, quali quelle tra genitori e figli e viceversa. La confusione relazionale che porta i genitori a ritenersi amici dei figli o i figli ad assurgere a consiglieri dei genitori che vivono difficoltà nella vita di coppia crea rapporti disfunzionali nell’ambito familiare con conseguenti sofferenze di tutte le parti coinvolte. Sant’Agostino raccomandava l’ordo amoris, cioè la limpidezza e la distinzione dei ruoli solo dopo tale chiarificazione aggiungeva il celebre invito “ama et fac quod vis“.

Quando Internet è nata e si è diffusa si pensava che potesse divenire il luogo del dialogo, dell’incontro. Invece Internet è divenuto il luogo della disconnessione tra realtà e verità. Come si può rimediare?

Internet è uno strumento come l’automobile, l’aereo o il coltello da cucina. È di tutta evidenza che occorre sapere usare tale strumento altrimenti può fare del male a chi lo maneggia con scarsa perizia. Proprio come un bisturi che nelle mani del chirurgo contribuisce a salvare una vita e nelle mani di uno sprovveduto provoca ferite. Bisogna essere formati all’uso della rete. E questo oggi purtroppo manca a tutti i livelli.

Qual è l’identità dei nostri giovani? Cosa sanno proporre gli adulti?

I giovani sono terreno vergine, sono desiderosi di credibilità, pongono domande forti, vanno alla ricerca di senso e questo si riscontra in tutte le fasce di età dell’adolescenza. Ma siamo noi adulti a non rendercene conto.

Ma allora l’immagine dei giovani superficiali e privi di interessi non esiste?

Questa immagine corrisponde a quella di un adulto che se la vuole raccontare in questa maniera, perché fa comodo a lui Scaricare la questione educativa sui giovani è utile all’adulto che così non si mette in discussione. La questione educativa, se posta bene, pone al centro l’adulto; ma se l’adulto non è credibile per i giovani, vuol dire che non è cresciuto Senza voler generalizzare, è chiaro che la mancanza di una generazione di adulti integri, interi, pienamente cresciuti, nel senso più ampio della parola, cioè che siano un tutt’uno tra ciò che pensano e dicono e ciò che fanno, incide pesantemente nel salto generazionale. Si potrebbe dire che siamo di fronte ad una generazione di ex-sessantottini che non hanno finito di crescere. Questo è, a mio avviso, il cuore della questione educativa, che poi ha mille sfaccettature che vanno analizzate e affrontate nel dettaglio di ogni situazione. Certamente ci sono adolescenti più superficiali, ma la stragrande maggioranza sono giovani come quelli di sempre che pongono domande di senso molto profonde alle quali devono dare risposta innanzitutto gli adulti.

E questa difficoltà riguarda anche la Chiesa?

È indubbio che anche i giovani di oggi, come quelli di ieri, sono alla ricerca della bellezza, dell’armonia, della pienezza di vita. Perché non incontrano con tanta facilità la proposta cristiana che parla proprio di bellezza, di armonia, di vita piena? Qualcuno o qualcosa si è messo di traverso fra la credibilità di Dio e la richiesta dei giovani? Paolo VI l’aveva intuito tanti anni fa quando affermò che non abbiamo bisogno di maestri, ma di testimoni. Oggi non abbiamo bisogno di propaganda, ma di credibilità. Allora la latitanza dei giovani dalle nostre parrocchie non ci può far dire che è colpa dei social, di tik tok ecc. No! È mancanza di attrazione.

È vero che i ragazzi di fronte a questa situazione si stanno abituando ad abbassare il livello del desiderio?

Che ci sia una tendenza al “mordi e fuggi”, all’immediatezza non si può nascondere; è una tecnica di sopravvivenza, in mancanza di grandi prospettive. Però è anche vero che il desiderio è scritto nel cuore dell’uomo e attende solo di incrociare nella sua vita un altro adulto che sa accendere quel fuoco che già arde nel suo cuore. I giovani sono capaci di grandi sogni, grandi desideri di grandi idealità sono pronti a spendere la propria vita per quelle idealità Occorre anche che abbiano la buona sorte di incontrare educatori che accendano il desiderio e non – ahimè – che lo spengano.

La scuola è un luogo in cui questo incontro con testimoni credibili può accendere questo fuoco?

Certamente sì, e se ne fanno tanti di questi incontri. Bisogna interrogarsi su cosa rimanga dopo un incontro con personalità autorevoli. Rimane è il livello della testimonianza, il fatto cioè che i giovani possano confrontarsi con persone che hanno perseguito nella loro vita un’ideale, attraverso cui hanno speso tempo, energie, risorse, si sono impegnati, sacrificati, hanno versato lacrime e sangue, per raggiungere l’ideale agognato. E questo deve avvenire attraverso persone normali, non super eroi come quelli dei social, persone alla loro portata. Questo confronto insegna ai giovani che anche loro possono farcela. È questo il livello educativo che riesce a tirare fuori da loro quell’energia vigorosa che hanno dentro

Può fare qualche esempio accaduto nella scuola in cui insegna?

Ne elenco alcuni che ricordo meglio. L’incontro di qualche anno fa con don Luigi Maria Epicoco, giovane sacerdote molto impegnato con i giovani, quello con il giudice Di Matteo, con il Capitano dei carabinieri, con alcune personalità della letteratura, e poi quelli con ex allievi della stessa scuola che con impegno hanno raggiunto il loro sogno nella professione che volevano fare: il notaio, il pilota, il cardiochirurgo. Le testimonianze dei coetanei non geniali ma normali convincono e mobilitano.

Cosa unisce questi incontri? Cosa vi intravvedono con più chiarezza i vostri studenti?

In queste testimonianze c’è stato un elemento costante: questi giovani hanno avuto quasi sempre alle spalle famiglie forti, quelle nelle quali c’era un’unione della coppia genitoriale, dove c’era un volersi bene e un volere il bene del figlio. Il figlio si è sentito amato e si è sentito forte. Il giovane ha bisogno dell’amore degli educatori perché possa percepire di essere amato anche al di fuori di quella famiglia che non riesce ad amare i propri figli. Dice don Bosco: “Non basta amare i giovani, bisogna che loro si accorgano di essere amati” Quando un giovane si accorge di essere amato, di essere amabile, si accendono le sue energie che generano una identità in grado di confrontarsi col mondo degli adulti.

Quanto sono alleate le famiglie nella vostra responsabilità di insegnati e educatori?

È triste incontrare famiglie che hanno ridotto il loro ruolo, hanno trasformato il ruolo da famiglia che sostiene, a famiglia “sindacalista” che difende i propri figli ponendosi in contrapposizione con la dimensione educativa della scuola, rivendicando piuttosto che collaborando. In quel momento il giovane subisce una lacerazione che paga perdendo la fiducia nel mondo degli adulti, perché ci sono adulti di riferimento a scuola e adulti di riferimento in famiglia che entrano in conflitto.

Ma esistono anche esempi in positivo?

Ce ne sono molti, ma passano sotto silenzio. Il bene non fa quel rumore che invece il “sindacalismo” di cui ho parlato prima produce.

«Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira…. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente in famiglia». Questa è l’incipit del rapporto redatto dal CENSIS nel 2020. Come vivono la paura i giovani?

Ancora una volta, tutto dipende dall’intelligenza dell’educatore, della famiglia, del giovane. I giovani con cui mi confronto quotidianamente sanno rispettare benissimo le norme sanitarie, meglio degli adulti, e se necessario richiamano al rispetto anche i coetanei. Sanno andare dritto all’essenziale. Tante delle sovrastrutture di cui soffrono sono frutto degli adulti Noi li carichiamo di problemi del mondo degli adulti. Ciò non esclude l’esistenza di fenomeni da prendere in seria considerazione, come il bullismo, anche in questo ambito questi fenomeni sono minoritari La stragrande maggioranza dei giovani sa capire e problemi e sa come affrontarli.

E in tutto questo come ha influito la chiusura delle scuole e la didattica a distanza?

La scuola si fa in presenza. Ogni altra forma è suppletiva e a tempo, non c’è dubbio. Tuttavia ho un’idea positiva della Dad, perché grazie ad essa la scuola ha potuto in questo tempo sopravvivere alla pandemia, cioè abbiamo potuto continuare ad avere rapporti e contatti con i giovani nonostante i tempi difficili che stiamo attraversando. Quindi è stata una scialuppa di salvataggio, ma non si può andare avanti solo con la didattica a distanza.

Perché la Chiesa fa fatica a parlare ai giovani?

Perché non li ascolta. Sant’Agostino scriveva: “Ascoltali, ascoltali, ascoltali e dopo parlerai col loro linguaggio”, e quindi entrerai in relazione con loro. Quindi quando manca l’ascolto profondo, empatico che ti costituisce e non giudica, non provoca moralismo manca il linguaggio e nasce l’incomunicabilità. C’è un principio educativo che si fa risalire a Plutarco che dice: la testa non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere. Questa tentazione riguarda anche l’educatore cristiano, più preoccupato di offrire contenuti e indicazioni che di accendere il fuoco che cova entro ogni cuore. Ma ciò accade soprattutto a nella scuola, organizzata più per trasmettere “saperi” che accendere quel fuoco del desiderio dei saperi che poi porta a personalizzare i saperi stessi. Nella nostra scuola è ormai prassi la confusione tra educazione e addestramento.

[1] Ok, boomer” è una delle espressioni più inflazionate negli ultimi tempi e rappresenta la risposta che le nuove generazioni danno quando vengono rimproverati da persone più anziane, ovvero i boomer. I boomer nel linguaggio comune sono anche le persone semplicemente un po’ all’antica, che non capiscono mode o tormentoni del momento.

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