Don Biagio Apa, uomo del Vangelo

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di Francesco Inguanti

“Se si scrivesse solamente un libro per raccontare la storia della vita dei sacerdoti a noi più contemporanei, le Curie vescovili si trasformerebbero in mastodontiche biblioteche. Tuttavia se se ne scrivesse almeno qualcuno eviteremmo di perdere la memoria storica più vera e autentica della esperienza ecclesiale e potremmo additare ai più giovani esempi di testimonianza del Vangelo che altrimenti andranno dispersi”.

Così commenta Nino Indelicato l’esperienza fatta per raccontare la vita e le vicende di un sacerdote catanese, don Biagio Apa, deceduto due anni or sono.

Il volume Biagio Apa, uomo del Vangelo. Esperienze pastorali a Catania nella stagione del Concilio, curato da Nino Indelicato, per la parte testuale, e da Pippo Vitali per l’appendice fotografica, per i tipi di AGL Edizioni, è la biografia completa di un sacerdote che negli anni del Concilio fu protagonista di molte scelte e iniziative che segnarono, insieme ad altre, un’esperienza pastorale molto vivace “di cui – dice Indelicato con un po’ di tristezza – oggi rimane solo il ricordo e tra qualche anno, morti i protagonisti, neanche quello”.

L’interesse del libro più che nel titolo, è espresso nel sottotitolo, “Esperienze pastorali a Catania nella stagione del Concilio”. Infatti in molte pagine la persona del sacerdote è letta e giudicata attraverso il fermento di vita che attraversò la diocesi etnea per oltre venti anni, con il proliferare di gruppi, movimenti, associazioni cattoliche di vario tipo che consentirono ai giovani di allora di poter intraprendere esperienze diversificate, e sempre molto significative e coinvolgenti.

“Offriamo questo libro, cui in molti testimoni del tempo hanno contribuito – spiega Nino Indelicato – come contributo per la memoria recente della Chiesa catanese, non solo perché se ne conservi il ricordo, ma anche nella speranza che vicende come questa ed altre possano ispirare i percorsi di formazione di nuovi sacerdoti, l’agire di tanti laici desiderosi di rendere ragione pubblica della fede che hanno incontrato”.

Molto accattivante è anche la metodologia utilizzata per ricostruire la storia di don Apa. Grandissima parte è frutto di testimonianze raccolte fra gli amici più intimi, ma vi sono anche trascrizioni di sue testimonianze dirette, che rendono ancora più avvincente l’intera storia.

Va detto subito che il libro è quanto mai gradevole nella lettura perché frutto di una scrittura collettiva che fa emergere un quadro molto vivace, quasi in presa diretta, anche per le frequenti espressioni dialettali, molto care a don Biagio.

Abbiamo chiesto a Nino Indelicato di indicare i momenti e gli aspetti più significati della vita del suo caro amico Biagio.

“Padre Apa – spiega – pur avendo avuto una vita giovanile difficile per la perdita dei genitori in tenera età, si avviava a svolgere il proprio ministero sacerdotale secondo una parabola ben tracciata, fino al 1971 quando decise di porre una svolta radicale alla sua esperienza: abbandonare la parrocchia di Cristo Re, una tra quella più ambite da sacerdoti e fedeli del tempo, e trasferirsi con alcuni amici al Villaggio Sant’Agata, un quartiere in grande espansione, privo di tantissimi servizi, a partire dalla Chiesa in muratura che non esisteva”.

Due i momenti essenziali posti alla base di questa esperienza: l’ascolto costante della Parola di Dio e la celebrazione domenicale dell’Eucaristia; con il corollario, non meno importante, della ‘visita’ alle famiglie, come segno di attenzione soprattutto ai più deboli come gli anziani e i malati.

Per il resto, dall’ampia ricostruzione che si legge, si ricava l’immagine che oggi si direbbe, con papa Francesco, di una chiesa in uscita, nella quale tutte le attività, tranne la Messa domenicale, si svolgevano fuori dai locali della parrocchia, nelle case, per le strade, con il coinvolgimento diretto delle famiglie.

Va ribadito che erano anni in cui in tutta Italia si mettevano in atto esperienze ecclesiali di quel tipo.Alcune giunsero anche ad uno scontro diretto con le Curie locali, come nel caso dell’Isolotto a Firenze. Ma tante altre nacquero e si protrassero anche grazie alla forte personalità di sacerdoti che abbandonarono un percorso di sacerdozio più tradizionale e si avventurarono su strade spesso difficili e comunque impegnative.

Nella stessa Catania, oltre a quella di p. Apa, in quegli stessi anni, si svilupparono altre tre o quattro esperienze analoghe, sia pure caratterizzate da stili e sensibilità diverse, che, non a caso, creavano anche delle occasioni di preghiera e riflessione comune.

Chiediamo ancora al professore Indelicato di raccontare la genesi di quella scelta. “Va detto che la decisione di don Biagio non fu isolata. L’iniziativa era partita da due altri sacerdoti: don Pino Ruggeri, da poco rientrato in Sicilia per insegnare Teologia allo Studio Teologico di Catania e don Francesco Ventorino, da qualche tempo assistente della Fuci e animatore dell’esperienza di Gioventù Studentesca che da lì a poco avrebbe dato vita a quella di Comunione e liberazione. A questi tre impavidi si aggiunsero alcune famiglie che decisero di lasciare la città per trasferirsi al Villaggio e alcuni altri laici”.

Come le cronache ricordano fu una esaltante esperienza che coinvolse un buon numero di abitanti del Villaggio e consentì per la prima volta di porre in quel luogo i germi di una presenza cristiana che fino a quel momento era praticamente inesistente.

Saltiamo alla metà degli anni Settanta e chiediamo sempre a Nino Indelicato di rievocare i motivi della rottura con le persone che facevano riferimento a CL.

“La risposta sta forse nella sua genesi – chiarisce -. L’iniziativa era nata da soggetti con sensibilità e personalità diverse. C. L., dopo i primi anni di rodaggio, aveva assunto una fisionomia, anche a livello nazionale, ben diversa, con una radicata presenza non solo nelle università, ma anche nella società civile e iniziava anche una presenza in politica attraverso la emergente personalità di Roberto Formigoni. Il Villaggio era solo il luogo di una esperienza caritativa, che per altro aveva preso forma anche in altri quartieri e situazioni.

La conclusione di questa esperienza, nel 1997, va ascritta da un lato al naturale esaurirsi della sua spinta iniziale, ma fu accelerata dal peggiorare delle condizioni di salute di p. Apa. Don Biagio chiese ripetutamente al vescovo del tempo, mons. Luigi Bommarito, di essere affiancato da un giovane prete che, progressivamente, assumesse la responsabilità della parrocchia in uno spirito di continuità, ma la sua richiesta non ebbe nemmeno risposta.

Probabilmente questo silenzio spiega adeguatamente come questa esperienza di p. Apa, così come le altre simili, non siano state metabolizzate dalla chiesa catanese e ne siano rimaste sostanzialmente al margine.

D’altra parte anche la presenza di don Pino Ruggeri non era sufficiente perché i suoi impegni di docente e teologo lo portavano spesso a stare fuori per molto tempo. In qualche modo, per quanto non l’abbia mai detto, don Biagio si sentì solo e in parte abbandonato, anche se non gli venne meno l’amicizia affettuosa di tanti amici”.

La storia proseguì con una profonda crisi che don Biagio attraversò per qualche anno fino a quando decise di tornare in campo e gli fu affidata una piccola parrocchia in un paesino dell’Etna, Viscalori di Viagrande, ove poté fino alla morte rendere un servizio alla Chiesa e ai parrocchiani che gli erano stati affidati, con uno stile magari più tradizionale ma pur sempre fondato su due momenti essenziali, l’ascolto della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia.

Chiediamo a Nino Indelicato come si può sintetizzare questa storia. “Nelle conclusioni del libro abbiamo utilizzato la parola ‘santità’, non per un motivo ideologico, ma perché è quella che è riportata più volte nelle numerose registrazioni necessarie per scrivere il libro. Biagio era una persona semplice, ma non ingenua. E la sua semplicità era radicata tutta nella sua capacità di incarnare il Vangelo in ogni momento della giornata e della vita. Oggi si definirebbe ‘la santità della porta accanto’. Abbiamo voluto scrivere questo libro non solo per l’affetto che ci ha legato a lui per tanti anni e che ci ha accompagnato in tante vicende personali ed ecclesiali, ma per additare a tutti che i santi dei nostri giorni non vanno cercati sugli altari né nei gesti eroici. Sono tra noi e dobbiamo imparare a riconoscerli attraverso i segni talvolta semplici e mai da palcoscenico di cui è costellata la loro vita”.

Attraverso la biografia di un prete molto amato dalla sua gente, questo lavoro, insomma, ha il pregio di restituire soprattutto un contributo alla conservazione della memoria della storia recente della Chiesa catanese che meriterebbe di essere arricchita di tante altre storie, individuali e collettive, che ne hanno segnato le vicende.

 

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