Solo un avvenimento può provocare l’incontro con Cristo.

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di Francesco Inguanti

Domenica prossima 8 ottobre all’hotel San Paolo Palace di Palermo si terrà la Giornata d’ Inizio d’Anno degli aderenti a Comunione e Liberazione della Sicilia, sul tema: “La fede, compimento della ragione”. Sarà introdotta da una comunicazione di Alfonso Ruggiero, docente di matematica e fisica al liceo scientifico Vaccarini di Catania e responsabile regionale della Fraternità di Comunione e Liberazione.

Gli abbiamo chiesto innanzitutto di illustrare come si svolgerà l’iniziativa e l’obiettivo che si propone di raggiungere.

Il programma è molto semplice. Dopo la mia introduzione, ci saranno tre testimonianze, di tre persone provenienti da tre contesti diversi, le quali testimoniano la loro esperienza di fede incarnata in tre situazioni diverse.

Chi e come vi prenderà parte?

Ci saranno le comunità di CL delle Diocesi siciliane. Siamo presenti in quasi tutte. Dalla Sicilia orientale abbiamo predisposto dei pullman, per il resto si arriverà con auto proprie. È il primo raduno in presenza che facciamo dopo la pandemia ed anche per questo speriamo di essere in tanti.

Nel titolo si parla di fede e ragione. Come si tengono insieme visto che secondo l’opinione comune sono termini alternativi se non contrapposti?

Quello che lei chiama opinione comune non corrisponde alla verità. La grande dicotomia tra ragione e fede, che caratterizza il mondo moderno, è il frutto della duplice riduzione della fede, ricondotta perlopiù a sentimento soggettivo o a moralismo, e della ragione ricondotta positivisticamente allo sperimentabile della scienza, operate dalla modernità. Don Giussani ci ha sempre spiegato e ripetuto che se la fede non avesse a che fare con la ragione, la fede non potrebbe dire nulla alla vita, perché ciò che caratterizza un uomo e lo distingue dagli altri esseri è proprio l’uso della ragione, intesa come finestra spalancata sulla realtà totale.

E quindi?

Noi sperimentiamo che la realtà che conosciamo non contiene il suo significato se non come un segno che rinvia ad altro. Don Giussani lo dice così: “Quando giunge al suo vertice nell’esame di una cosa, la nostra natura umana sente che c’è qualcosa d’altro. Questo definisce l’idea di segno: la nostra natura sente che quello che vive, che quello che ha tra le mani, rimanda ad altro”. Questo vale per tutto il reale: la bellezza del creato, l’amore di una donna per il suo uomo, l’amore di una madre per un figlio. Insomma per tutto.

E oggi tutto questo che significa in concreto?

La fede può essere proposta come suprema razionalità perché risponde più di qualsiasi altra ipotesi alle esigenze del cuore, in quanto l’incontro con Cristo attraverso la Chiesa, genera un’esperienza e una corrispondenza all’umano impensata, impensabile.

Quali difficoltà avvertite nel proporre la fede nella società di oggi?

L’uomo di oggi, come quello di ieri, ha l’urgenza di un significato, di una speranza, di una luce che possa abbracciare la totalità della vita. Più che in passato, oggi soffre un profondo individualismo che ultimamente lo isola, indebolendo alla radice i legami affettivi. Il punto nevralgico di questa difficoltà nel proporre la fede sta in una debolezza nella coscienza di fede dei cristiani stessi, certo frutto anche della mentalità moderna che ha messo Dio come in un ripostiglio.

Può dirlo in altre parole?

Ecco, direi così: la fede per un cristiano, se non diventa oggetto di verifica continua, rischia di non dare alcuna forma alla vita. Essa è certamente un dono irrevocabile che Dio ha fatto loro e tuttavia se ci si disabitua a giocarla nella vita, essa diventa inincidente e non interesserà nessuno. Solo questa esperienza potrà conquistare i cuori degli uomini.

A suo giudizio tutto ciò è chiaro nella Chiesa e nei fedeli?

Non ho dati scientifici per affermarlo, ma la mia esperienza di cristiano mi porta a ritenere che né un’azione programmatica, né una strategia sociologica, né tantomeno una programmazione pastorale, men che mai una organizzazione volta al proselitismo, sono in grado di raggiungere e muovere l’uomo di oggi. Basta frequentare una parrocchia per vedere non solo lo scarso numero dei giovani presenti, ma anche la poca passione con cui vivono la loro fede, spesso ridotta a riti più o meno sentimentali.

Ed allora, che fare?

Quello che Gesù Cristo prima e i cristiani poi hanno sempre fatto: provocare un avvenimento, un fatto che consenta all’uomo di ogni momento storico di incontrare Cristo, nella forma in cui si presenta.

A proposito di giovani. CL si è sempre caratterizzata per la presa che ha avuto tra loro fin dai tempi della sua nascita. E oggi?

In un fitto dialogo tra Giussani e Testori, trascritto nel testo “Il senso della nascita”, ad un certo punto Giussani dice: “Nei giovani di oggi è come se la nascita non fosse presente. È come se non avessero raggiunto la coscienza di una dipendenza. Vale a dire dell’essere stati voluti”.

Ce lo spieghi meglio.

Certo. Se i figli diventano sempre più un progetto che deve soddisfare il desiderio, anche buono, di maternità e paternità dei genitori, che spazio resta ad un figlio per avvertire di essere frutto gratuito e fecondo dell’amore tra papà e la mamma? Si finisce inevitabilmente col tempo per pensare di essere oggetto di un mero calcolo a tavolino, al più risposta di un diritto, di un capriccio o di un desiderio di chi ti ha concepito. Si smarrisce il senso dell’essere voluti e con esso il compito e lo scopo che il fatto di esserci pone ad ognuno come missione.

Ma questo riguarda gli adulti. E i giovani?

I giovani di oggi non si sentono “mandati” da nessuno nel mondo a portare il fuoco della speranza. Solo chi avverte di essere voluto trova la forza e la gioia di andare incontro all’altro. Preferiscono, come si suole dire, vivere di presente evitando ogni significativo impegno sul dopo. Insomma, hanno paura del futuro. Posso dirlo da insegnante e da genitore?

Prego

La mia esperienza di insegnante e di padre mi fa dire che i ragazzi oggi hanno una sete straordinaria di incontrare adulti portatori di un senso, padri autorevoli. Quando un giovane incontra lo sguardo di un adulto innamorato della vita, che ha stampata negli occhi la certezza di un significato totale che solo la fede dà, resta incollato e calamitato. Credo che i giovani, ancora più degli adulti, aspettino di essere avvistati da adulti che vivono la fede e che ad essi sappiano educare. E quindi torniamo al punto di partenza. Il nodo riguarda più gli adulti che i giovani.

Quale percezione hanno i suoi studenti liceali della Chiesa?

Non hanno un’opinione sempre positiva. Quelli che la incrociano attraverso la catechesi fatta per ricevere i sacramenti, per la maggior parte, abbandonano l’esperienza ecclesiale non appena ricevono il sacramento stesso. Ma per la verità, la scristianizzazione in atto ormai da molti decenni ha fatto sì che la maggior parte dei ragazzi non conoscono, cioè non hanno un’esperienza diretta della Chiesa, intesa come comunità. Sono carichi di un grande pregiudizio, spesso ingolfato da immagini distorte e ingenerose nei confronti della Chiesa.

E allora come si fa a intercettare un vero educatore?

Dalla sua disponibilità ad accettare quello che don Giussani nel suo libro più importante e famoso chiama “Rischio educativo”.

A quali personalità pensa in particolare?

Ovviamente in primis a don Giussani. Ma poi l’elenco sarebbe sterminato. È utile ricordare il beato don Pino Puglisi, di cui in queste settimane abbiamo ricordato i trent’anni dall’omicidio. Sia chiaro però: non bisogna giungere al martirio. Puglisi insegnò religione per anni in un importante liceo palermitano e in quelle aule seppe appassionare alla vita e alla fede tanti studenti, che ancora oggi lo ricordano con affetto e devozione. Puglisi è stato un grande educatore a scuola e in parrocchia e ha saputo correre i rischi della sua testimonianza. Oggi non è più così.

Perchè?

Oggi chi educa non vuole correre rischi. Gli insegnanti, tra l’incudine della burocrazia scolastica e “il ricatto” dei genitori che chiedono solo la promozione, preferiscono non correre rischi, soprattutto quello di finire in un procedimento amministrativo. I genitori, stretti dall’impegno sempre più pressante del lavoro e il sano desiderio di riservare del tempo per loro, non hanno più tempo per i figli ed hanno delegato ad altri il rischio di educare.

E allora chi educa?

La società, con i suoi infiniti strumenti, la quale non è mai chiamata ad assumersi rischi e responsabilità Quando accadono gravi fatti delinquenziali, che la cronaca provvede subito a sbattere in prima pagina, la rincorsa è sempre a trovare un responsabile o colpevole fuori e lontano di noi. Così che nessuno si assuma in proprio la responsabilità educativa.

E la famiglia?

La famiglia non è più quella di un tempo. Non veicola la fede e non ha alcuna voglia di trasmetterla. Al massimo la tollera nei più giovani, magari in attesa che l’età adulta li omologhi a tutti gli altri. E poi non dimentichiamo che la famiglia è l’istituto più in crisi di tutta la società: non trasmette prospettive e desiderio di impegnarsi. È un piccolo fortino organizzato solo per la difesa, ma che può crollare al primo scossone. Proprio per rispondere a questa urgenza domenica una testimonianza sarà affidata ad una famiglia agrigentina.

Gli ultimi anni della vita di Cl sono stati molto “movimentati” ed hanno raggiunto il suo acme con le dimissioni di don Julian Carron. Come è oggi la situazione?

CL è un movimento che si nutre e vive del carisma donato dallo Spirito Santo al Servo di Dio don Giussani. Esso è pertanto un organismo vivente armonicamente inserito dentro il corpo più grande che è la Chiesa. Questi anni sono stati, e lo sono tutt’oggi, una straordinaria occasione di maturazione e vivificazione del carisma. Ogni momento di maturazione comporta sempre un approfondimento dello sguardo ricevuto. Una realtà viva è desiderosa di crescere, di maturare, e perciò è tesa a correggersi e a lasciarsi correggere. Oggi il cammino prosegue sotto la guida di Davide Prosperi e in stretto rapporto con i Dicasteri del Vaticano.

At proposito, come giudicate dopo un anno l’incontro avuto col Papa a ottobre del 2022?

È stato ed è uno snodo fondamentale della nostra esperienza ecclesiale dentro la Chiesa e nella società. Abbiamo ricevuto un invito pressante ed accorato ad andare avanti, nel solco tracciato da don Giussani. E per tornare al tema della correzione posso affermare che uno desidera di lasciarsi correggere quanto più è affezionato a sé come destino, alla possibilità di crescere, ciò per cui è fatto. Per questo riempie di gioia e conforto poter seguire i passi che la Chiesa suggerisce. Ma per fare questo occorre prontezza a lasciare che un Altro allarghi la propria misura, per lasciarsi portare verso un punto di vista, più vero, più profondo, il Suo punto di vista. Di tutto ciò l’incontro di Piazza San Pietro dell’ottobre scorso è stato ed è a tutt’oggi una splendida testimonianza, direi un punto di non ritorno.

CL è un movimento di laici che insieme a tanti altri rendono un importante servizio alla Chiesa, soprattutto a livello diocesano. Come si caratterizzano questi rapporti in Sicilia e in particolare con i Vescovi?

C’è un valore supremo dell’esperienza cristiana che don Giussani ha inoculato in tutti noi: l’obbedienza. Obbedienza è una parola legata semanticamente alla parola ascolto (dal latino ob-audio). Fides ex audito dice San Paolo. La fede nasce sempre dall’ascolto della parola di un Altro, della parola di Cristo. E quest’Altro, nell’avvenimento cristiano, si comunica attraverso la nube dei suoi testimoni. I Vescovi, proprio per il ministero che vivono, sono parte fondamentale di questa nube.

Quindi nessuna contrapposizione o distinguo?

Non c’è nessuna opposizione tra l’amore al carisma che abbiamo incontrato e la stima nei confronti di tutto ciò che possiamo chiamare dimensione istituzionale della Chiesa; il che include non solo il magistero autorevole del Papa e dei Vescovi, ma anche le fonti oggettive dell’esperienza e della conoscenza di Cristo, di cui la Chiesa è custode: la parola di Dio e i Sacramenti. Non c’è opposizione perché la grazia del carisma che ci ha investito, non sostituisce né tantomeno dovrebbe portare a disprezzare il valore di questi altri “segni” o “strumenti” dal Signore stesso voluti come strada sicura a Lui.

Avete celebrato da qualche mese i 100 anni dalla nascita di don Giussani. Quale eredità ha lasciato e come essa è attuale dopo tanto tempo?

L’eredità di don Giussani è come un pozzo profondo ancora inesplorato. Basta ricordare oltre alle tante iniziative promosse nell’occasione, i testi pubblicati, tutti di grande rilievo e molto apprezzati. Ci vorrà del tempo per scoprire la portata e la ricchezza del suo lascito. Giussani ha speso tutta la sua esistenza mostrando come stare di fronte alla Presenza di Cristo rende la vita cento volte più intensa. Non ha mai avuto la preoccupazione di porre l’accento sulla morale cristiana, consapevole che questa nasce piuttosto dall’adesione affettiva alla presenza di Cristo, scaturisce come conseguenza. Il primato dell’ontologia sull’etica credo sia l’unica vera strada per entrare in dialogo con il dramma dell’uomo moderno.

Per finire, che ne è della presenza sociale e politica dei ciellini nella società italiana?

C’è e non è diminuita. In politica esiste ed è affidata alla responsabilità di quanti liberamente vogliono percorrere questa strada di testimonianza. Certo non ha più le forme, talvolta eclatanti, degli anni passati, ma anche perché la politica è cambiata profondamente. Sono in molti quelli di CL che si impegnano nelle amministrazioni locali ed ovviamente questo fa poco notizia.

E la presenza sociale?

Prosegue con sempre maggiore impegno in tanti campi dell’assistenza e del volontariato. Domenica ci sarà anche una testimonianza in tal senso. È ben radicata nella società e dà frutti anche se non sempre riconosciuti e valorizzati dalle istituzioni e dalla politica. Ma ciò non costituisce obiezione, anzi è un motivo in più per andare avanti, anche con quanti percorrono gli stessi sentieri e – le assicuro – sono tanti, in Italia e in Sicilia.

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