Intervista a Don Giacomo Sgroi, nuovo arciprete di Carini

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di Francesco Inguanti

Sabato 14 settembre 2019 don Giacomo Sgroi sarà il nuovo arciprete-parroco della parrocchia Maria SS. Assunta di Carini. Don Giacomo è molto conosciuto in tutta la diocesi per essere il segretario del Vescovo, “ma non appena per questo” precisa subito. Infatti “fu mons. Pio Vigo, subito dopo la mia ordinazione sacerdotale – spiega – che mi chiese di fargli da segretario. E dopo di lui ho servito mons. Cataldo Naro, mons. Salvatore Di Cristina e poi mons. Michele Pennisi, sempre nel servizio di segretario.
Ma non ha fatto sempre il segretario dei Vescovi?
No di certo. Ho fatto servizio pastorale in due parrocchie, sono stato per due anni a Roma per studiare Liturgia al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, ma questo servizio è stato certamente il più continuativo nei miei primi vent’anni di sacerdozio.
Ma cosa ci vuole per essere un buon segretario di un Vescovo?
Fondamentalmente un impegno: capire e comprendere la persona con cui si lavora e non dimenticare mai che rappresenta il Vicario di Cristo. In altri termini servire lui, significa servire Lui, cioè il Signore secondo le modalità che in quel momento si presentano. La conseguenza è che andando a Carini dovrò fare lo stesso, ma facendo attenzione alle modalità.
Qual è la storia della sua vocazione?
È nata in parrocchia, proprio in quella in cui andrò ad esercitare il Ministero di parroco, in modo del tutto semplice e lineare.
Cioè come?
In un momento particolare della mia vita, di cui conservo il ricordo come fosse ieri, durante la “Dodicina”, in preparazione alla festa dell’Immacolata, il parroco chiese ai presenti se ci fosse qualche bambino disposto a fare da chierichetto. Io non avevo ancora 10 anni, chiesi il permesso a mia madre e mi presentai subito con molta convinzione. Da quel giorno iniziò la mia strada verso il sacerdozio che si è via via confermata con passaggi successivi e sempre chiari che il Signore mi offriva.
E dopo?
Già alle scuole superiori entrai in Seminario, subito dopo la morte di mio padre. Quella morte mi procurò molti problemi perché ritenevo che non fosse giusto lasciare da sola mia madre, anche perché sono il primogenito. Ma fu lei che quando capì il mio disagio mi disse che, se volevo intraprendere il cammino verso il sacerdozio non dovevo ritenere di ostacolo la situazione familiare.
E la vita in seminario?
È proceduta con molto regolarità e convinzione fino al momento dell’ordinazione nel settembre del 1999, per l’imposizione delle mani di mons. Pio Vigo.
E dopo?
Anche gli anni successivi si sono svolti all’insegna della provvidenza di Dio che non mi ha mai fatto mancare nulla, dal sostegno della mia famiglia alle scelte che via via andavo compiendo sempre con la consapevolezza della bellezza e della giustezza della scelta vocazionale compiuta.
E come iniziò l’esperienza di segretario del Vescovo?
Fu proprio mons. Pio Vigo che mi chiese di fargli da segretario e così da quell’anno iniziai questo servizio, che pur non continuativamente ho proseguito fino ad oggi. Mi affidò anche una piccola parrocchia qui vicino a Villaciambra, dove svolgevo attività pastorale. Nel 2001 l’Arcivescovo mi propose di andare a studiare a Roma. E così dopo varie vicissitudini iniziai a studiare liturgia a al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, interrompendo nei fatti l’attività di segretario.
E come riprese?
Dopo alcuni anni, nel frattempo si era insediato mons. Cataldo Naro, fui nominato vice rettore del Seminario, ma l’Arcivescovo mi chiese di aiutarlo anche in segreteria della diocesi. E così tornai nella stessa scrivania che avevo lasciato e dove ho continuato a lavorare.
Perché?
Perché i successori di Naro, prima Di Cristina e poi Pennisi, mi hanno rinnovato questo incarico. Quindi in totale sono 14 anni che svolgo questo servizio continuativamente.
E che valutazione ne trae?
È stato per me un onore servire la Chiesa nella persona dei Vescovi che si sono succeduti e da tutti ho imparato tanto. Da mons. Vigo la delicatezza del tratto umano, la capacità ad accogliere le persone. Da mons. Naro la capacità di governo e la preparazione intellettuale, l’amore per una cultura che sia a servizio della pastorale e non fine a sé stessa. Da mons. Di Cristina la capacità a vedere le cose del mondo con gli occhi di Dio e la dedizione alla preghiera. Da mons. Pennisi la disponibilità ad accogliere tutti e la passione per la cultura senza mai cedere al protagonismo.
Torniamo alla domanda di partenza: cosa ci vuole per essere un buon segretario di un Vescovo?
In questi anni ho imparato che per poter svolgere questo servizio bisogna innanzitutto conoscere la persona del Vescovo, l’uomo Vescovo. I suoi tempi, i suoi bisogni, le sue necessità, il suo modo di vedere e affrontare i problemi. Segretario non è solo uno che prende appuntamenti o riceve telefonate. Ma uno che serve la Chiesa attraverso la persona del Vescovo. E in questo senso non si tratta solo di obbedire, ma anche di organizzare il suo lavoro aiutandolo a salvaguardare tutti gli aspetti della sua persona, a partire dall’evitare di sovraccaricarlo di impegni, che magari possono svolgere altri. Ma c’è anche un’altra cosa.
E cosa?
Imparare lo stile del vescovo a partire dal suo modo di scrivere, di parlare di rapportarsi con gli altri. Ovviamente poi c’è il tema della riservatezza, che non vuol dire custodire macigni di segreti, ma saper stare al proprio posto aiutando il Vescovo, offrendogli tutti gli elementi utili per poter giungere alla migliore scelta.
E il rapporto con i confratelli?
Colgo l’occasione per ringraziarli tutti, perché hanno avuto sempre un grande rispetto di me e del ruolo che ricoprivo.
E questo nuovo incarico cosa comporterà?
Mi trasferirò a Carini, abiterò in canonica perché intendo fare il parroco a tempo pieno. Sul tempo eventualmente eccedente vedremo. Certamente in segreteria c’è un spazio di interregno di cui mi dovrò occupare.
Come è la parrocchia che l’attende?
È la mia parrocchia di origine che ho lasciato nel 1988. Quindi sono mutate tante situazioni. È una comunità molto variegata ricca di gruppi, movimenti, confraternite e laici impegnati. Quella attuale è il risultato della fusione di tre o quattro parrocchie, processo non ancora concluso. È una delle 4 parrocchie di Carini. È quella del centro storico. Molte famiglie l’hanno abbandonato, per andare a vivere fuori paese. Quindi c’è una prevalenza di anziani. C’è una tradizione religiosa molto consolidata e cercherò di partire da questa per una azione missionaria nei riguardi di tutti.

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