Comunità cristiana e coronavirus

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di Francesco Inguanti

Lo storico Franco Cardini ha rilasciato a LA STAMPA il 4 marzo scorso una intervista il cui titolo, una volta tanto, non ne tradiva il contenuto: “Un tempo contro le epidemie si pregava, oggi si chiudono le chiese”. I

Il senso dell’intervista era racchiusa nella risposta a questa domanda: Che tipo di fede prevale? Questa la risposta: «Una fede fragile e individualista. La nostra fede in Dio zoppica. Oggi non faremmo mai una novena affinché Dio ci liberi dall’epidemia. Sarebbero gli stessi medici cattolici ad ammonirci di pregare in casa. L’epidemiologia moderna è un incentivo alla nostra carenza di fede. Siamo dentro un cortocircuito da cui non riusciamo a uscire. Oggi la gente si preoccupa dei pericoli naturali e solo in un secondo momento pensa che Dio ci aiuti. Dilaga l’errata convinzione che pregare privatamente e pregare insieme siano la stessa cosa».

Nessuno si sogna ovviamente di mettere in discussione le rigide norme emanate dal Governo nazionale e dalle singole Diocesi per porre un freno alla espansione della epidemia. Ma da credenti possiamo porci anche una domanda: “Stiamo utilizzando tutti gli spazi di libertà che è ancora possibile occupare, senza violare le norme poste dalle autorità, per esprimere la nostra fede che, oltre ad una innegabile dimensione personale ne ha una anche comunitaria”?

Gli inviti alla preghiera personale vanno accolti e incentivati, ma noi abbiamo bisogno anche di segni concreti che – anche in questa difficile situazione – sappiano esprimere il loro valore sociale e pubblico. Certo la situazione non consente di fare processioni, ma forse si potrebbero porre segni per le strade delle nostre semi deserte città di invocazioni al Signore che tutto può, anche liberarci da questa epidemia, Tenuto conto che i rischi di contagio in pubblico sono molto inferiori perché non “inventare” gesti che richiamino al senso del divino nella sua dimensione collettiva e porli tra la gente che ancora percorre le nostre strade?

Va ricordato in tale senso l’ultima iniziativa di Biagio Conte. Dal 28 febbraio è in giro per Palermo, con la croce in spalla per mostrare la propria vicinanza a quanti percorrono le strade del centro. “Serve più che mai adesso – ha detto – perché in mezzo a tutte le emergenze che la città già soffre, c’è anche tanta paura per il contagio del coronavirus. Per questo ho deciso di stare tra la gente, di parlare con le persone, di dare parole di conforto, in un momento in cui tanti hanno paura”. Biagio Conte si è intrattenuto con le persone incontrate per strada e in tanti l’hanno fermato per ricevere una parola di conforto. Tornato alla Missione ha dichiarato: “Accolgo in Missione tante persone che hanno bisogno di aiuto, ma mi rendo conto che c’è un’intera città che soffre. Un’umanità che per la paura rischia di considerare l’altro, qualunque sia, un nemico. Spero che il mio messaggio di pace e solidarietà arrivi a tutti i palermitani che soffrono e hanno paura”.

L’imminente festività di San Giuseppe sarà ricordata certamente e giustamente per la rinunzia a ogni forma di culto pubblico, a partire dalle processioni. Ma non si può pensare a qualche iniziativa da svolgere all’aperto che, fatte salve le disposizioni, ricordi non a quei pochi che andranno nelle chiese ma a quelli, certo più numerosi, che percorrono le nostre città, che San Giuseppe può aiutarci in questo frangente e che pregarlo insieme ci aiuta a rafforzare la fede?

Della Messa celebrata domenica 1 marzo a Milano dall’Arcivescovo mons. Mario Delpini nella Cripta del Duomo e trasmessa per televisione mi ha colpito il fatto che fosse concelebrata anche dall’arciprete della Cattedrale, e dal vicario episcopale per la Zona pastorale I-Milano. Era un segno tangibile, visivamente tangibile, che lì era presente la Chiesa, perché due o tre erano riuniti nel Suo nome.

Certamente in questa assolutamente nuova emergenza i mezzi di comunicazione stanno aiutando tantissimo anche nel vivere la fede in modo nuovo e imprevisto. Tuttavia prima di pensare di far giungere a casa l’Eucarestia attraverso Amazon, garantendo in tal modo ogni sistema di sicurezza sanitaria, o di ricevere l’assoluzione per posta elettronica, dopo aver compilato l’apposito modulo e sottoscritto le norme sulla privacy, cerchiamo di non disperde il patrimonio e il valore della esperienza comunitaria della nostra fede, che ha ancora tanto da dire agli uomini, sempre e in ogni caso, dopo aver ottemperato alle indicazioni che le autorità competenti ci chiedono di osservare.

Concludo con la risposta di Cardini alla domanda sulla preghiera privata e comunitaria: «Esiste ovviamente la preghiera mistica che si fa in silenzio e da soli, ma, come direbbero gli ebrei, non è la preghiera che Dio predilige. La preghiera privilegiata è quella che il popolo di Dio fa, ordinatamente, tutto insieme. Una volta durante le epidemie si organizzavano novene e processioni per invocare la protezione divina, oggi si chiudono le chiese. Non andiamo a messa e quindi ci rassegniamo all’isolamento. La prudenza è sacrosanta e la scienza è preziosa, ma manca una riflessione più ampia».

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