di Francesco Inguanti
Venerdì 27 marzo 2020 sul far della sera papa Francesco ha proposto al mondo intero in una piazza san Pietro vuota e bagnata dalla pioggia “un momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia” che ha concluso con la benedizione “Urbi et Orbi”. Ha rivolto a tutti gli uomini un appello di straordinaria potenza ed efficacia nella drammaticità del momento che tutto il mondo sta attraversando. Nella sovrabbondanza di parole che giungono da tutte le parti le Sue rischiano di essere dimenticate e confuse con tutte le altre. Per questo motivo abbiamo pensato di tornare su quei contenuti e chiesto vari contributi di merito.Cominciamo oggi e proseguiremo nei prossimi giorni.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Queste due domande, ripetute per ben quattro volte e ad intervalli quasi regolari, da papa Francesco quel 27 marzo in Piazza san Pietro, sono il filo conduttore del suo accorato appello a tutti gli uomini, che non a caso si è concluso con la benedizione “Urbi et Orbi”.
Superati e messi da parte i pur buoni sentimenti emersi nell’occasione (la piazza vuota, l’uomo vestito di bianco, la pioggia, ecc.) a noi il compito di non disperdere il contenuto del messaggio che non era rivolto né solo a noi italiani né solo a noi cristiani.
Ed è nostra responsabilità far emergere prima e tradurre concretamente poi il giudizio che in quelle pagine è detto. La reiterata frase: “Non avete ancora fede?” non ha un valore appena spirituale, ma vuole aiutarci a comprendere cosa oggi la fede ha da dire a tutto il mondo in una vicenda così complessa. A questa domanda che tutti più o meno palesemente si fanno, lui una prima volta risponde così: “… la fede … non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te”. Ecco ora la sfida è fidarsi del Signore in un momento in cui sembra ci abbia abbandonato e non siamo in grado con tutti i nostri presunti potenti mezzi, di combattere questo nemico.
Ma più avanti aggiunge: “Questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”.
Il giorno di Pasqua tornando su questo tema ha aggiunto: “È … la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non “scavalca” la sofferenza e la morte, ma le attraversa aprendo una strada nell’abisso, trasformando il male in bene: marchio esclusivo del potere di Dio. Il Risorto è il Crocifisso, non un altro. ….. A Lui volgiamo il nostro sguardo perché sani le ferite dell’umanità afflitta”.
A questo siamo chiamati in un frangente in cui non possiamo sostenerci con la compagnia fisica, come siamo stati abituati finora, ma dobbiamo dimostrarlo nel più isolato dei luoghi, le nostre case, lì dove volendo nessuno può vedere e sapere, ma a contatto stretto con le persone che ci sono più case.
A queste persone, padri, madri, nonni e nonne, insegnanti si rivolge il Papa dopo il giusto ringraziamento a medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo.
È nelle nostre case, quelle che abbiamo per tanto tempo ritenute utili sol per dormire e talvolta consumare un pasto, che si sta giocando la partita della lotta culturale al Covid-19. Al loro interno si sta generando una nuova cultura, un nuovo e imprevisto modo di vivere e volersi bene, anche quando si è solo in due a trascorrere la giornata.
La prima grande scommessa che si gioca al loro interno è l’organizzazione del tempo. Siamo cresciuti con la convinzione che non eravamo più padroni del nostro tempo, perché il lavoro, il divertimento, lo sport, la socializzazione, la religione ce ne imponevano il ritmo. Oggi ciascuno, anche chi lavora da casa, deve decidere come trascorrere il tempo e come esso deve essere condiviso con quanti vivono con lui. Il Papa dice al riguardo: “Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”.
La sfida lanciata attraverso il Papa dalla fede diventa nelle sue parole concretissima quando afferma: “Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà”.
Abbiamo avuto modo tutti di vedere questa creatività all’opera soprattutto nella applicazione al tema della carità. E tanto altro ancora bisognerà fare visto che l’emergenza continua. Ma questo invito a creare spazi, in un momento in cui sembra che lo spazio comunemente inteso debba essere solo quello domestico, interroga particolarmente, perché anche quello che ormai tutti chiamiamo virtuale va sottomesso a questo giudizio di fede. È opportuno chiedersi a fine giornata se lo spazio dedicato al telefono o al computer sia stato sottomesso a questo criterio o piuttosto ancora e solamente all’istintività e al soddisfacimento personale. Questa è una frontiera finora calda per chi lavorava prevalentemente con le tecnologie più moderne, ma che oggi riguarda tutti a partire da studenti e professori, che trascorrono gran parte della giornata di fronte al video.
Ma torniamo al tema centrale: “La forza di Dio è volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte”. Questa è la scommessa della fede e della nostra esperienza cristiana. Si tratto solo di decidere di accoglierla o no. Come si fa a vedere e credere in Gesù ora che non c’è e sembra non volerci ascoltare? Ma una cosa è certa: io l’ho incontrato, l’ho conosciuto, mi ha voluto bene, gli ho voluto bene! È stata solo una illusione? No! È stata una realtà! Tutto ciò è accaduto! Basta per credere? Si basta. Questo è il centuplo di cui parlava. Per il resto bisogna. Ma è la scommessa della fede e della nostra esperienza cristiana. Si tratto solo di decidere se accoglierla o no.