di Nino Indelicato
Oggi ospitiamo l’intervento di Nino Indelicato per lunghi anni docente nelle scuole superiori catanesi.
È accaduto al mondo intero ciò che può accadere al singolo uomo o donna che viva sulla terra. Un autentico terremoto che ha spazzato d’un colpo tutte le presunte certezze su cui si pensava potesse fondarsi l’esistenza e viene sgretolata pure quella reiterata tendenza a consolare la condizione umana con le ‘illusioni’ di cui è stato speciale cantore Leopardi.
Ma pure in momenti come questi persiste una sedimentata resistenza a riconoscere la dura verità, ad accettare un giudizio, a mutare la direzione di marcia.
Occorre qualcuno che dia voce a quella evidenza, un volto umano che ci corregga senza abbandonarci, che ci sostenga senza giustificarci.
Questo compito così umano e però così delicato da richiedere una particolare libertà e una particolare profondità, lo sta assolvendo lui, soltanto lui, Papa Francesco.
Quanta densità di significati in quella sua malferma risalita della rampa del sagrato di s. Pietro, quanta forza in quelle parole semplici con cui ha commentato l’episodio evangelico della tempesta sedata davanti ad una piazza vuota di folla, ma che forse non è mai stata così piena di persone, affamate di parole non di conforto ma di incitamento a mettere mano ad un lavoro di rifondazione della convivenza umana.
Ma su quali basi?
Innanzitutto riconoscendo la falsità e la vulnerabilità delle maschere con cui nascondiamo i nostri incoercibili egoismi, riscoprendo l’appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: “ci siamo resi conto di trovarci tutti sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda.”
In secondo luogo ricostruendo l’ordine delle priorità che governano le nostre vite: “la tempesta lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.”
In terzo luogo imparando a riconoscere nella normalità delle persone comuni la vera eccezionalità. E qui sembra che Papa Francesco stabilisca un’equazione fra il concetto, a lui tanto caro, della ‘santità della porta accanto’ e quello dello spirito civile del servizio silenzioso: “guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita; (…) mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose, ecc.; (…) riconoscere quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera.”
Ciò che emerge da queste riflessioni è un richiamo alla responsabilità personale di ciascuno. Se queste sollecitazioni venissero prese sul serio si assisterebbe ad una rinascita dell’io, della persona, del soggetto.
Abbandonare le maschere, ristabilire le priorità, riconoscere a tutti gli uomini e alla vita di tutti i giorni il valore di costruzione della storia, significa ristabilire una modalità di esistenza consapevole e responsabile, nonostante la travolgente avanzata della società postmoderna che tutto sembrava far dipendere dal progresso tecnologico, abbandonando alla ‘liquidità’ la convivenza umana.
Risalta, in tal modo, la singolare capacità che possiede papa Francesco di parlare allo stesso tempo e allo stesso modo, veicolando il messaggio cristiano, sia all’uomo della strada che a coloro che detengono il potere politico.
Anzi è ancor di più evidente, per chi detiene un potere, che, se si lasciasse sfiorare nella sua attività dalle sollecitazioni del Papa, acquisterebbe una maggiore libertà nel tentativo di servire il bene comune piuttosto che rimanere totalmente asservito a interessi, soprattutto economici, che con quel bene stridono apertamente.
Invece, ribadisce papa Francesco, “in questo nostro mondo (…) siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato.”
Il Papa, dunque, richiama tutti ad una ripresa di consapevolezza e propone al mondo, attanagliato dalla paura, di affidarsi al Signore e alla sua Parola: “Perché avete paura? Non avete ancora fede? (…) Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.”